lunedì 25 marzo 2024

Lotta per la sopravvivenza (post in aggiornamento l//)

Breve ma necessaria premessa, questo scrittino non vuole essere un messaggio a favore del design intelligente o altre cose così, quello che si propone è invece dare un piccolo saggio di come, partendo da punti di vista differenti si possa arrivare a mete diverse, che del viaggio sia valsa la pena, sta poi a chi legge giudicare.

No, la natura non è una matrigna indifferente, è semmai una madre imparziale.

Nel 1859 Charles Darwin pubblicava l'origine delle specie, dove si ipotizza che la vita si sia via via diversificata nel tempo per adattarsi ai vari ambienti ed ai cambiamenti che il pianeta con il passare delle ere presentava, l'evoluzione era per Darwin un eterna e cieca lotta per la sopravvivenza contro il pianeta e tutti gli altri esseri viventi, dove solo coloro che  si dimostrano più adatti alle contingenze che di volta in volta si verificano, Possono andare avanti.

In realtà i meccanismi individuati da Darwin per spiegare l'evoluzione da lui scoperta, non erano del tutto inediti; già da qualche decennio la concezione dell'esistenza vista come lotta tra le forze vitali in competizione tra loro, aveva iniziato a prendere piede in certi circoli culturali europei, come  prova che già nel 1848  il filosofo Karl Marx nel suo manifesto del partito comunista aveva dato della storia Umana una visione similare, dove a scontrarsi invece che le specie erano le differenti classi sociali, concetti questi della lotta per la sopravvivenza, che troveranno nuovi discepoli nel nazismo, dove il fatale  scontro viene questa volta individuato tra le razze umane. 

Le disastrose esperienze in ambito sociologico di tali teorie, che hanno sporcato di sangue il novecento, non sono bastate però a fare retrocedere i biologi evoluzionisti dal difendere a spada tratta la propria congettura, che nonostante qualche aggiustamento, fino a non molto tempo fa', pareva più restia ad evolversi, degli esseri che studia. 

Eppure se si cessa di adoperare un approccio individualistico è si inizia a ragionare in un ottica di specie, risulta facile rendersi conto che in alternativa ad una  competizione tra viventi, possiamo parlare di una collaborazione, penalizzante certo, addirittura crudele per il singolo, ma assolutamente vantaggiosa per la specie nel suo insieme, che grazie a questi feedback, riesce a migliorare e mantenersi il più performante possibile rispetto all'ambiente che popola.

La visione di cieca ferocia della vita, data nella moderna teoria darwinista, non è l'unica cosa ad apparire quantomeno discutibile, e che invece fuori da una prospettiva di scontro e reinterpretati in chiave di collaborazione troverebbero ragione d'essere: senza volerci addentrare nel calcolo delle probabilità, che nonostante la vastità dello spazio e del tempo, fa apparire comunque la vita sulla terra nata ed evolutasi per mero caso e necessità, più fortunata di Gastone paperone, come chiunque abbia voglia di fare i calcoli potrà constatare,  vorrei qui soffermarmi meglio a ragionare sulla differenziazione degli individui nella stessa specie; più precisamente mi sembra interessante fare notare di come  le varie forme viventi ciascuna secondo la propria specie, tende ad assomigliare in maniera che pare poco casuale a se stessa; provo a spiegarmi meglio; se noi prendiamo un animale domestico ed iniziamo a selezionarlo per determinate caratteristiche, possiamo scorgere come il DNA sia flessibile e modificabile sotto certe spinte, di fatti e proprio questa dote che ci permette di modellare le varie specie a nostro bisogno e piacimento, a paradigma di tutto ciò possiamo prendere la specie canina, che nel corso di ormai millenni l'uomo ha plasmato nei modi più svariati possibili, creando centinaia, se non migliaia di razze, razze che se si escludono alcune esasperazioni, che hanno dato origine a vere mostruosità, appaiono tutte  capaci di autosostenersi e propagare il proprio genoma. Eppure queste bestie se lasciate di nuovo libere in natura nel giro di poche generazioni torneranno via via ad assomigliare sempre più al proprio antenato ancestrale: il lupo, e questo discorso, naturalmente, non vale solo per i cani ma per tutte le specie domestiche, dal pesciolino dell'acquario al maialino del porcile. 

Tutto ciò, è questo è ancora più straordinario, non è valido solo per le specie domestiche, anche per gli animali selvatici vige la stessa regola: a fronte dell'estrema variabilità potenziale del DNA, e del fatto che il confine tra specie e Ancor di più tra razze si fa sempre più indistinto, come ben sa chi studia la genetica o osserva la natura e le sue improbabili ibridazioni, possiamo osservare di come, una volta definita una razza i membri di tale gruppo tendono ad assomigliarsi in maniera che pare sproporzionata a quanto le mere leggi di caso e necessità richiederebbero; lì dentro c'è più ordine, di quanto sia lecito aspettarsi. Davvero, mi chiedo ad esempio; avere quattro o sei dita per piede è una caratteristica così invalidante da non permettere a questo tratto di manifestarsi in nessuna delle razze umane che nel corso dei millenni sono apparse sul pianeta, se non come malformazione rispetto al canone di cinque dita? In una specie come la nostra poi, dove l'intelligenza ha saputo fare fronte a limitazioni o menomazioni fisiche di gran lunga peggiori.


Insomma per farla breve almeno per quanto riguarda il vivente, pare proprio che l'idea platonica di ideale a cui il reale cerca di conformarsi abbia qualche fondamento.

Un ideale non di certo scolpito nella pietra ma soggetto anch'esso a miglioramenti ed adattamenti: non perfetto dunque ma in continuo divenire e pronto, anzi volenteroso a biforcarsi se le circostanze lo permettono , ma comunque presente, e attento a vigilare che tutto ciò che si è acquisito, oserei dire imparato non vada perduto per capricci, questi sì del caso.

Già oggi le punte più moderne della biologia,  con buona pace  per pensatori alla Dawkins, sono restii ad attribuire al solo patrimonio genetico il merito dell'evoluzione delle specie, ma più propensi a suddividerlo tra: DNA, ambiente e di sicuro per gli animali: l'intelligenza, in un reciproco e continuo scambio di feedback che ne guida almeno in parte l'evolversi, giunti a questo punto non mi pare azzardato suggerire che questo legame sia più profondo di quanto si crede, o vi possa essere un quarto elemento che supervisiona il tutto e faccia da "backup" per così  dire.



Nel immagine sopra un alveare di vespe cartoniane, sotto un cuore privo di cellule viventi.


In ambito strettamente materialista si potrebbe ipotizzare l'emergere di un intelligenza collettiva di specie, in modo non dissimile da come oggi gli scienziati materialisti spiegano l'emergere della coscienza dall'interazione tra neuroni, in un ipotesi del genere l'individuo diviene simile ad una cellula del proprio corpo e l'interazione con  gli altri individui, andrebbe a creare il superorganismo di cui farebbe parte, insomma anche nel biologico, in qualche maniera trova spazio quella logica del frattale di cui l'universo sembra fare largo uso.

una visione dell'evoluzione di questo tipo, cioè che avviene in un clima di "collaborazione" e sotto un qualche tipo di supervisione, come si può facilmente immaginare non solo è perfettamente compatibile con un'ottica religiosa, ma si sposa inoltre, benissimo con le teorie sulla consapevolezza del celebre fisico ed inventore Federico Faggin, che sempre più attenzioni, stanno ricevendo in quegli ambienti scientifici non contaminati d'atteggiamento dogmatico.




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