lunedì 22 dicembre 2025

Stalin, ovvero della rivoluzione tradita

Ogni tanto, da parte di qualcuno, salta fuori la polemica su Stalin traditore della rivoluzione. A dire il vero Stalin non è che il capofila di una lunga lista di nomi. Incredibile come, a sentire i compagni, il comunismo è un'ideologia in cui sistematicamente a prendere il potere sono quelli che di comunismo non hanno capito nulla, tutta gente interessata solo al potere e che hanno portato la causa alla deriva.

Battute a parte, la questione Stalin traditore dell'idea vs Stalin aderente in tutto e per tutto all'ideologia marxista-leninista, ha anche assunto connotati di dignità, trasformandosi in una contrapposizione colta tra gli stalinisti che parlano di realizzazione coerente, e gli antistalinisti che ribattono con l'ideale tradito. Riprova che spesso la cosiddetta cultura, nonostante i termini tecnici e il linguaggio forbito non è altro che lana caprina di stampo ideologico

In realtà la questione è abbastanza semplice: è assolutamente vero che Stalin abbia commesso molti sbagli, errori che col senno di poi appaiono lampanti. Ma a meno di non aspettare un messia inviato dal cielo, sto comunismo lo si deve fare con gli uomini, e gli uomini, si sa, per loro natura sbagliano. Quindi magari cosa più giusta, invece di biasimare Stalin perché non rappresenta il "comunista ideale" sarebbe confrontarlo con i concorrenti di allora, ovvero Trotsky. Per prima cosa sfatiamo un mito in quanto a crudeltà (sulle quali tornerò dopo) Trotsky per quello che ha dato a vedere, non mi pare fosse molto più tenero del georgiano.

Per quanto riguarda capacità e doti politiche, la realtà dei fatti non è molto incoraggiante. Intanto Trotsky ai tempi occupava incarichi gerarchicamente superiori a Stalin, il fatto che quest'ultimo gli fece fare la fine che sappiamo non testimonia a favore del genio politico di Trotsky. Se passiamo poi al programma concreto che quest'ultimo voleva attuare le cose vanno di male in peggio. Però prima di spiegare perché, una precisazione. Questo non è un saggio storico, ma un articolo a suffragio di una specifica tesi, ovvero che Stalin non sia un fenomeno accidentale in seno al comunismo, ma un suo prodotto legittimo. Per forza di cose sto facendo generalizzazioni e lavoro d'ascia, perché quel che mi preme è solo mostrare come la mia tesi si basa sui fatti e non su reinterpretazioni ideologiche.

Detto questo, dicevamo, il piano di Trotsky era quello di una rivoluzione permanente esportata in ogni angolo del globo. Potrei terminare la questione con un artificio retorico, ricordando di come gli stessi Stati Uniti, il paese più potente del globo rischiano oggi di trovarsi a gambe all'aria a causa della bella idea di "esportare la democrazia". Ma qui siamo messi ancora peggio, la Russia post rivoluzione era un paese arretrato, profondamente diviso, scosso da immani tensioni al suo interno.  Resta vero che l'armata rossa, così come organizzata da lui, riuscì a venire a capo delle forze della reazione internazionale, ma questo in territorio russo. Penso che nessuno possa dubitare che le grandi potenze di allora, se davvero dovevano preservare il loro di assetto statuale, avrebbero messo in campo ben altre risorse. Si dice anche che sotto la guida di Trotsky l'industrializzazione della Russia sarebbe avvenuta ugualmente, visto che era avviata da prima che Stalin salisse al potere, ma sarebbe avvenuta con metodi più democratici e umani. Tutto ciò sarebbe stato interessante osservarlo, giacché una cosa del genere fino ad allora non si era mai vista nemmeno nei paesi più liberali. Tanto è vero che il comunismo nacque proprio in reazione alle terribili condizioni di vita degli operai. Comunque quello che sappiamo per certo è che sotto i successori di Stalin, il progresso di quella nazione, salvo alcuni settori, non riuscì più a tenere il passo con gli altri paesi. Un handicap che la Russia moderna ancora paga.

Sicuramente sotto Trotsky il comunismo sovietico avrebbe imboccato strade diverse. Ma con queste premesse dubito fortemente che gli esiti sarebbero stati così memorabili.


Ok, chiarito che le alternative reali allo stalinismo, non fossero così auspicabili come qualcuno vorrebbe far passare, resta ancora da far luce su un punto fondamentale: ma Stalin era un vero comunista oppure fu solo uno spietato dittatore che cavalcò la causa proletaria per soli fini personali? 

Per me la risposta è chiarissima: sì, Stalin credette davvero nell'ideale comunista e cercò di realizzarlo. Nel resto di questo scrittino cercherò di spiegare perché.

Per fare questo bisogna prima di tutto chiarire una cosa: per valutare un uomo, così come un periodo storico, non possiamo usare i nostri metri di giudizio ma quelli dell'uomo o del periodo stesso.  Questo non per assolvere o condannare l'uomo o il periodo storico in oggetto, ma per comprenderne davvero scopi e intenzioni. Per quanto riguarda la figura di Joseph Stalin, stiamo parlando di un figlio di contadini georgiani, appartenenti ad un impero che considerava i suoi contadini poco più che animali da reddito, dove le purghe e le deportazioni erano cosa comune già dai tempi dei primi zar. Per quanto riguarda le altre potenze stiamo parlando di un mondo dove pochi lustri dopo la presa al potere di Stalin, in Germania si predicava lo sterminio delle razze inferiori e la messa in schiavitù di quelle intermedie. Mentre la potenza leader del mondo libero, pochi scrupoli si fece a lanciare bombe nucleari su due città inermi, ed è meglio non parlare del bombardamento di Tokyo, così come è meglio tacere sui crimini commessi dall'impero nipponico su cinesi e coreani durante i periodi dell'occupazione.

Parlando del Marxismo-leninismo in sé, invece possiamo dire che questa ideologia si basa sul materialismo storico. Nel  concreto della sua applicazione politica, ciò vuol dire ridurre l'uomo a semplice funzione del processo storico, La ferma convinzione che esiste solo quello che si vede, le idee, la cultura stessa non sono altro che un prodotto del substrato dove nascono e si sviluppano. Sul piano oggettivo, per il marxista tra un formicaio e una nazione non c'è nessuna differenza, non perché il marxismo neghi in toto l’umanità dell’uomo, ma perché nella sua traduzione amministrativa il singolo vale solo in quanto parte del tutto. Sia la nazione che il formicaio, nel rispetto delle rispettive biologie, possono essere organizzate al meglio garantendo il maggior benessere possibile a tutti i suoi membri, rispettando determinate leggi, leggi che per quanto riguarda gli esseri umani il comunismo proclamava di aver scoperto. Il problema di Stalin era quello di fare sì che tutti in Russia accettassero ed applicassero queste leggi, e farlo prima che le classi e i sistemi che traevano un vantaggio iniquo nella non applicazione di queste leggi, in particolare la borghesia e i sistemi capitalistici, riuscissero a sopraffare il sistema. Per raggiungere il suo obiettivo, un po' per inclinazione, un po' perché i cambiamenti che pretendeva lo esigevano, scelse il terrore. Continuando il paragone con il formicaio, Stalin forte del suo materialismo non ha fatto altro che quello che avrebbe fatto una formica regina, che dovendo difendere il suo formicaio e volendolo strutturare al meglio nel minor tempo possibile non si è fatta scrupolo di sacrificare la vita di milioni di singoli individui, forte della convinzione che l'insieme sia infinitamente più importante del singolo.


Ecco che si contraddice dirà qualcuno, prima parla di Stalin e dello stalinismo come prodotto legittimo del comunismo e poi blatera di inclinazioni. Ma io non ho negato che Stalin è il risultato di un certo imprinting culturale. Ma il fatto è che i compagni che lo conoscevano, se lo hanno sopranominato "Stalin" e "non fiocco di neve", suvvia!  Dovevano pur aver capito il tipo. Ma malgrado ciò, se non hanno mai pensato che questa inclinazione fosse una buona ragione per non promuoverlo ai massimi vertici dello stato, dovrà pur esserci stato un motivo.  Tale motivo e perché anche loro erano convinti che "la rivoluzione non era un ballo delle debuttanti" e per costruire l'uomo nuovo sovietico, occorresse il pugno di ferro, anzi d'acciaio. Vero è che Lenin stesso, nel suo famoso testamento, stigmatizzò l’ascesa di Stalin, definendolo troppo “rude”. Ma stiamo parlando di quel Lenin che in prima persona, quando ce ne fu bisogno, non si fece scrupoli a instaurare il "terrore rosso" o a istituire la Ceka, la famosa polizia segreta.




Quanto detto assolve Stalin dalle sue colpe? 
No niente affatto, ma le contestualizza e le relaziona all'ideologia di cui era portatore. Allo stesso modo di come non si può assolvere il nazismo e incolpare il solo Hitler dei crimini della Germania del suo tempo. Probabilmente Stalin non era inevitabile, ma resta comunque perfettamente compatibile con il sistema che lo generò.


Personalmente sono convinto che l'uso della violenza non sia eliminabile da un regime comunista, in quanto solo in questo modo tale ideologia può essere applicata a gruppi numerosi di individui. Ma in un serio dibattito, considero legittima la tesi di chi pur ammettendo gli eccessi e gli sbagli di Stalin ne rivendica l'eredità concludendo che l'ideale perseguito resta comunque nobile.  inaccettabile invece resta la posizione di chi vorrebbe epurare la figura del dittatore Georgiano e di altri come lui dalla storia del comunismo per rifarsi una verginità.

giovedì 18 dicembre 2025

De Germania

Leggevo l'ennesimo articolo sulla decadenza europea. Davvero, faccio fatica a credere che un continente di millenaria esperienza politica possa essersi ridotto ad offrire questo spettacolo di sé al mondo. Persino l'America di Biden prima, e quella di Trump adesso, senza paura di smentite, tra i peggiori presidenti che quel paese abbia mai espresso, ha tentato di portare avanti una visione. Da noi il nulla. Un continuo inseguire l'attimo, senza nessuna strategia a lungo termine, nessun piano di riserva se le cose non vanno come sperato. 

Più ci penso, più non mi torna che un continente intero si sia rincitrullito così tanto da essersi fatto imporre da un vecchio rincoglionito come Biden (o meglio dal gruppo di potere che rappresentava), l'idea che fosse possibile infliggere una sconfitta strategica alla Russia, senza un piano di riserva, una via di fuga. È qualcosa che non sta minimamente in piedi.


Eppure, così paiono essere andate le cose. Cui prodest? 

La Gran Bretagna, naturalmente non va considerata, quello è un paese a sé. Chi si interessa a questo genere di dinamiche può vedere anche da solo che essa in questa operazione, nel rischiare grosso, qualcosa da guadagnare effettivamente poteva avercelo. Ma nell'unione propriamente detta

Sì, la Polonia e i paesi baltici in generale hanno acquistato molta rilevanza strategica nel contesto europeo, a onor del vero si sono tolti anche più di una soddisfazione contro l'odiato orso russo. Ma se la Russia adesso vince a cosa è servito, insistendo con questa escalation, rischiano di fare la fine di una donna innamorata che si busca una polmonite, pur di vedere il medico del suo cuore. L'escalation ha aumentato la loro importanza strategica, ma adesso, soprattutto dopo Trump, il filo sta per rompersi. Con la loro appartenenza alla Nato, davvero poco c'era da preoccuparsi, quantomeno in tempi brevi di qualche pretesa russa nei loro confronti. Dal punto di vista economico i fondi UE dirottati in Ucraina, avrebbero fatto comodo soprattutto a questi paesi, invece che per la guerra, potevano essere usati per puntellare il ritrovato benessere. Il gran sultano è andato avanti mezzo millennio promettendo al popolo che il prossimo anno sarebbero giunti alla mela rossa. Davvero i leader di questi Stati sono incapaci a tal punto da essersi dovuti sporcare le mani sul serio, per placare il risentimento anti-russo che cova nella pancia delle loro nazioni?

I membri storici dell'unione, come Italia e Francia, magari in un ridimensionamento della Germania avrebbero potuto avere qualcosa da guadagnare, ma da un crollo come quello a cui stiamo assistendo, non penso proprio. Anche a causa di ciò che è  avvenuto in Ucraina, la crisi è tornata a farsi sentire, i governi sono traballanti, con molti stati che rischiano di finire in mano a partiti estremisti.
Sanchez in Spagna fa quello che in genere fanno i governi spagnoli, dichiarazioni eclatanti, gesti solenni, ma poi calate le luci si muove con i piedi di piombo. Sa che la sua maggioranza è fragile. Macron in Francia insieme alla Germania di Scholz sono stati i leader che più di tutti si sono spesi per scongiurare il conflitto ucraino. Oggi però il suo consenso interno è ai minimi storici. E la sua linea si è progressivamente appiattita su quella dell'Unione; a quanto dicono alcuni esperti il suo obiettivo immediato è succedere alla von der Leyen. Infine la Meloni in Italia. Confesso che personalmente stimo questa donna, ma non mi aspettavo e non mi aspetto grandi cose da lei, con l'eredità che si porta dietro il suo partito, è forse tra i leader europei la più facilmente disinnescabile. Lei sembra saperlo e a vedere il suo operato, pare proprio che il suo obiettivo principale sia quello di durare.


Resta lei, la Germania appunto, la nazione che più di tutti ha perso da questa situazione, e più di tutti si sta spendendo per perpetrarla. La Germania che se ne frega se gli buttano giù il Nord Stream e accetta di buon grado di diventare lo zimbello del mondo, la Germania che da due decenni ed oltre investe sui rapporti con la Russia e che a causa della fine di quegli stessi rapporti è in crisi nera. La Germania che fino a ieri aveva a capo uno dei più brillanti politici della scena mondiale: Angela Merkel, e da un giorno all'altro si ritrova guidata da una serie di Cancellieri che definire mediocri è un complimento.


Premetto che il mio è solo un gioco ipotetico, un divertissement, ma se questo fosse un gioco tipo: indovina il colpevole, io punterei tutto sulla Germania. Proviamo  a ricapitolare: i baltici sono accecati dal loro risentimento antirusso, gli inglesi anche, con in più l'ambizione di riaffermare il loro ruolo di prima potenza d'Europa e seconda dell'impero (ruolo questo, che per inciso in altri tempi non sarebbe dispiaciuto alla Russia). Spagna, Francia e Italia, chi per un motivo, chi per l'altro, è tanto se ai loro governi è consentito di rimanere in piedi, resta qualche battitore libero sia interno che esterno all'unione, come l'Ungheria di Orban e la Turchia di Erdogan. Tutto il resto perlopiù comparse. 

Ma quello tedesco è un caso diverso. È davvero possibile che la classe dirigente tedesca butti tutto alle ortiche; il benessere economico, i rapporti con la Russia, la transizione energetica, la preminenza europea, solo perché qualche neocon americano ha fatto la voce grossa? Possibile che abbiano dimenticato il profetico fuck Europe della Nuland? 

Forse no, e per capirlo basta guardare il modo quasi ossessivo con il quale puntano sul riarmo europeo (tedesco). Secondo il parere degli esperti, in realtà utile solo per salvare l'economia, ma qualche sospetto dovrebbe suscitarlo: E se la Germania avesse acconsentito a tutto lo sconquasso che sta capitando sul vecchio continente, per avere la possibilità di riarmarsi senza indispettire gli altri stati europei e soprattutto gli amici americani? 


Non si discute, gli sta costando moltissimo, ma davvero un paese con la storia della Germania avrebbe avuto una possibilità più conveniente. Sul serio l'America, la Francia, la Gran Bretagna, la Russia stessa, la stessa Italia, senza le attuali contingenze, avrebbero permesso anche il solo parlare di riarmo tedesco? Questo oltranzismo europeo, ricordiamolo, sotto guida tedesca, che sta sfasciando la NATO, sicuri che sia solo miopia di tutta la classe dirigente europea?  Se invece, per alcuni, fosse un modo per buttare all'aria l'assetto europeo post 1945 senza finire per forza di cose in una nuova guerra di vaste proporzioni, se la Germania, o meglio se parte della leadership tedesca avesse scelto di accettare di pagare oggi un conto salato, per conquistare domani una sovranità strategica?  Se lo strazio a cui stiamo assistendo non è in realtà l'agonia del trapasso, ma il travaglio di un nuovo attore geopolitico? 

La verità probabilmente sta in una miscela tossica di entrambe le ipotesi: calcolo freddo da parte di alcuni (che vedono nella crisi l'unica chance di cambiare lo status quo) e caos miope da parte di molti altri, che agiscono per sopravvivere, trascinati dagli eventi. L'esito dipenderà da quale componente prevarrà.