martedì 4 novembre 2025

La corsa allo sviluppo




Mi è capitato di leggere l'ennesimo articolo sul tema: "guardate cosa fa la Cina! Guardate come sono avanti! E noi?".
Di fondo, l'allarme lanciato da articoli simili non è campato in aria, ma secondo me sbagliano obiettivo. 

Il fatto è che queste domande (con relative risposte) non dovrebbero essere destinate a indagare il breve periodo. La Cina, per restare in argomento, riflette sul proprio destino, già dai tempi della politica delle tre grandi cose.

Al contrario qui da noi, quando si parla di certi temi, pare che le decisioni passate non contano, si fa leva solamente sulla forza del numero, la panacea di tutti i mali è che essendo piccoli ci vuole più Europa.  Ma la verità è che quando Olivetti morì prematuramente, lasciammo correre. Lo stesso quando un tragico incidente, poco dopo, si portò via Mario Tchou, il geniale ingegnere italo-cinese, padre nobile dell'informatica italiana. E stiamo parlando degli anni '60! 

Per quanto ci si ricami sopra, e si voglia illudere la gente, certi risultati non si raggiungono solo grazie alla forza del numero come la vulgata blatera. La verità è che ai tempi pioneristici dell'informatica, l'Italia dette retta a chi, come l'ingegner Valletta e gli amici americani di casa Agnelli, consigliarono al paese di dedicarsi a cose più immediate. Trascurando così un settore che grazie a nomi quali appunto quelli di Olivetti, Tchou, e ancora Perotto, Faggin e molti altri, tanto poteva dare al paese. Certi risultati, specie nei settori di frontiera, si raggiungono con politiche accorte e con investimenti nel corso dei decenni.  

Coloro che dirigono la discussione, adesso dicono che l'economia del paese non è in grado di sopportare gli investimenti che settori come appunto  l'informatica richiedono, perciò c'è da mettersi il cuore in pace e lasciare fare all'Europa. Ma questa è una bugia, di stampo assolutorio e partigiano. La verità è che questo treno è stato perso molto tempo prima, e proprio come un vero treno, se l'Italia fosse salita nel momento giusto avrebbe potuto trovare un suo cantuccio. 


Chi adesso, a convoglio in corsa, ride perché il paese gli arranca dietro con gambe stanche, è ignorante e in malafede. La colpa non sta nelle gambe del paese, ma nella testa, che ha deciso troppo tardi quando era il momento di metterle in moto.

Guardate il Giappone o la Corea se non siete convinti, partirono da condizioni simili alle nostre, forse anche peggiori, ma provate a dir loro che hanno bisogno di un'Unione Europea per superare le sfide del futuro, vi riderebbero in faccia. Chi nel mondo dell'innovazione auspica investimenti con ritorni immediati o è un truffatore, oppure ha sbagliato mestiere. La verità è che non è la ricchezza a generare innovazione ma esattamente il contrario.  Così come ancora oggi non è assolutamente vero che bisogna avere risorse miliardarie per l'innovazione tecnologica. In realtà esistono altre strade, come dimostrano il CERN di Ginevra e la Stazione Spaziale Internazionale. Anzi fare dei consorzi internazionali di questo tipo invece che unioni politiche, permetterebbe la reperibilità di risorse ancora maggiori, perché consentirebbe l'adesione di realtà statali geograficamente lontane.


Ma allora perché tutti sentenziano che bisogna unirci, che il paese da solo non può farcela. Perché tutta questa enfasi sull'Europa? 


Intanto come comoda via di fuga, non è il massimo per un politico dover confessare ai propri elettori che il treno è perso e serve rimboccarsi le maniche per prendere il successivo. Molto meglio raccontargli che possiamo prendere un modernissimo aereo. Ma in verità c'è un altro motivo, tutt'altro che secondario: a mio avviso non è un caso che UE e NATO vadano così a braccetto, entrambe le strutture nascono per rispondere alle stesse esigenze di stabilità e deterrenza perché sia la NATO che l'Europa unita servono principalmente a evitare conflitti interni e reggere l'urto di una guerra nucleare. Non lo discuto: un'Europa unita può vantare una forza economica in grado di tirare fuori cifre importanti e così recuperare il gap con gli altri paesi, e tutta una serie di altri vantaggi. Come del resto ci raccontano ogni giorno televisioni e giornali.  Ma, secondo me, il motivo principale è quello militare. Un paesino come l'Italia, in caso di guerra non si può permettere una bomba atomica su Udine. Uno stato grande quanto l'Europa . GLI STATI GRANDI SERVONO PER ADATTARSI ALLA SCALA DI DISTRUZIONE CHE LE ARMI MODERNE PERMETTONO. 

Per supportare tale tesi, che in tempi di cretineria diffusa, mi pare bene specificare: si tratta di speculazione, naturalmente non ho prove, ma qualche indizio sì. Intanto E la sua stessa organizzazione interna a rivelarlo, scegliendo di frammentare le sedi del potere sul territorio. certo, è anche il risultato dei vari compromessi tra stati, ma quello che viene fuori è una forma di rindondanza strategica. Continuando, io tutti questi investimenti faraonici non li vedo, le industrie nazionali sono ancora tutte concentrate sui business storici. Mentre le spese dell'Unione, nonostante i nomi altisonanti, sono giusto quel minimo necessario per tenere il passo. Va bene, grandi proclami, ma alla fine cosa di concreto? Il massimo che ho visto è stato convincere qualche azienda ad aprire delle filiali in loco. In tutti i settori di frontiera l'unione mi pare più interessata a normare gli sviluppi dell'alleato americano che proporre dei propri percorsi di sviluppo.


Ma l'indizio più lampante di tutto ciò, sta proprio nel cuore stesso d'Europa, mi riferisco alla Svizzera, che, contando almeno fino a ieri sulla secolare neutralità, non ha sentito la necessità di proporzionarsi a una scala di distruzione nucleare. Gli basta, come ha fatto, adeguare i propri mezzi all'eventualità di uno scontro ai suoi confini. 




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