Sul finire della prima metà dell'Ottocento venne presentata al mondo una nuova ed eccezionale creazione dell'ingegno umano: il Dagherrotipo, l'antesignano della fotografia. Poco dopo i filosofi cominciarono a chiedersi quale sarebbe stato il valore dell'arte, ora che la tecnologia permette di riprodurre la realtà, senza l'intervento diretto dell'artista.
Fu Walter Benjamin, quasi un secolo dopo, a offrire una risposta profonda, nel suo saggio "L'opera d'arte nell'era della sua riproducibilità tecnica". Benjamin sosteneva che il valore dell'opera d'arte non sta tanto nella sua mera realizzazione, nell'oggetto fisico, per intenderci, ma nell'"aura" che questa possedeva: il valore dell'opera è legato alla sua unicità storica e sociale. Per Benjamin la riproducibilità di un'opera rischiava di distruggere tutto ciò. L'attenzione del discorso artistico si era spostata dal suo valore materiale al suo significato culturale.
Le preoccupazioni del filosofo tedesco non sorsero dal nulla: benché il Movimento Romantico avesse già posto in essere il problema, fu Marcel Duchamp e la sua "Fontana" che nel 1917, quasi a presagire le questioni che sarebbero state poste da Benjamin, radicalizzò il concetto che l'arte dev'essere slegata dall'abilità tecnica. Duchamp non solo era disposto ad accettare la perdita dell'"aura", ma trasformava questa perdita in un nuovo principio artistico, L'oggetto non è più la prova materiale che l'artista è capace di realizzare quello che aveva in mente, ma solo un mezzo per esprimere un'idea. Da allora la perizia tecnica non è più un parametro universale per riconoscere un'opera d'arte.
Dopo di lui movimenti come la Pop Art o il Concettualismo hanno contribuito a spingere ancora più in là, questo genere di tematiche. Artisti quali Andy Warhol, hanno dimostrato come la riproducibilità non distrugge l'arte semmai la ridefinisce, eccetera.
Ai nostri giorni questo tipo di visione è ampiamente accettata da parte di critici ed esperti, anche se qualche perplessità ancora rimane.
Personalmente, tale modo di intendere l'arte non mi trova d'accordo, e tralasciando le posizioni da "accademia" anche gli esperti non sono unanimi nel giudizio, lo prova ad esempio una forma d'arte come l'architettura, dove la mano dell'architetto è veramente minima, se questa interpretazione è considerata quella giusta, perché c'è tanta ritrosia a intervenire sui monumenti lasciandoli spesso a ruderi? Avendo a disposizione studi e materiali, non sarebbe meglio portarli a nuovo Permettendo così di esprimere appieno tutto ciò che l'architetto aveva da dire? Certo! Così facendo c'è il rischio di distruggerne quella autenticità storica, che sta alla base dell'aura di cui abbiamo parlato, ma davvero non siamo capaci di trovare un modo per fare dialogare il nuovo con l'antico?
O ancora, L'oggetto non è forse la prova che l'artista è capace di porre in essere ciò che voleva realizzare? Se questa prova non è piu necessaria, non possiamo definirci tutti grandi artisti? E se tanto vale, perché non spostare lo stesso principio in altri settori, dichiarandoci grandi generali senza aver mai fatto una guerra o grandi inventori senza aver mai inventato nulla?
Sebbene la riflessione che si è svolta intorno a questo argomento abbia contribuito a mettere nella giusta luce la parte intellettuale nella manifestazione artistica, la parte manuale anche nell'era della riproducibilità non può essere spostata troppo in secondo piano, senza finire in paradossi simili a quelli che abbiamo visto prima, perciò i tentativi intrapresi verso questa direzione per quanto intelligenti, restano delle affascinanti provocazioni.
La questione rimane ancora controversa, intanto un altro fronte sembra aprirsi: quello della letteratura. Grazie alle IA generative infatti pare ormai prossimo il tempo in cui, con le giuste istruzioni, potremmo fare scrivere alle macchine opere che riproducono in maniera pressoché perfetta lo stile e le tematiche di qualsiasi scrittore desideriamo.
A questo punto anche in questo campo artistico sorge la domanda: cos'è che definisce il valore di un'opera e del suo autore? Se grazie al mio computer posso comporre terzine belle come quelle di Dante sono anch'io un poeta o lo è forse la macchina?
Prima di rispondere a questa domanda bisogna introdurre un'altro concetto, quello dell'intenzionalità: ovvero il principio per cui ciò che distingue un'opera d'arte da un banale oggetto artigianale è l'intenzione dell'autore. In parole povere l'intenzionalità è quel fenomeno che fa sì che se noi incidentalmente perdiamo l'equilibrio e per sostenerci facciamo pressione su una tela al punto di strapparla, abbiamo fatto un bel pasticcio, ma se lo stesso strappo lo fa Fontana con la volontà di creare un opera d'arte allora è nato un capolavoro. L'intenzionalità e l'argomento principe di chi sostiene che una macchina non può creare vera arte. In realtà la faccenda non è così semplice, esistono ad esempio manufatti, testi o videoregistrazioni, che nelle intenzioni dell'autore non avevano pretese artistiche, ma il loro valore intrinseco li ha fatti riconoscere come tali. Sarebbe meglio parlare allora di "intenzionalità implicita". L'intenzionalità implicita si ha quando la volontà dell'essere umano di creare qualcosa di ben fatto riesce a trasmettere all'oggetto un valore espressivo o simbolico che trascende la sua mera funzione.
Torniamo adesso alla nostra intelligenza artificiale e alle terzine che ha generato con la nostra collaborazione, per verificare se sono presenti le caratteristiche che abbiamo esaminato:
La perizia tecnica c'è, la offre la macchina,
L'idea creativa anche, la metto io,
L'intenzionalità, anche quella è mia.
Dunque, appare evidente che presi singolarmente sia io che la macchina non siamo idonei per essere definiti artisti, però insieme pare proprio che abbiamo le potenzialità di esserlo, allora cosa manca?
Semplice: manca la capacità di fondere queste cose per creare qualcosa di unico e originale, perché solo se presenti in un unicum, questi requisiti possono generare quell'insieme di sensibilità estetica, disciplina, consapevolezza e ricettività, necessari a creare un'opera d'arte, perciò la risposta è no.
E la dimostrazione di ciò, sta proprio nell'esempio: Se io ne fossi capace, non delegherei alla macchina il compito di trasformare in versi le mie intuizioni, dal canto suo la macchina Per quanto possa essere abile tecnicamente, ha bisogno che l'idea, la scintilla creativa, provenga dal di fuori, e per quanto le mie descrizioni di questa idea possano essere dettagliate, e la mia intenzione è quella di creare un capolavoro, l'algoritmo per il modo stesso di come funziona, non potrà che usare questo materiale per fare uscire delle imitazioni, opere costruite secondo criteri statistici, prive della minima originalità.
E adesso, stabilito ciò che non lo è, finalmente possiamo tentare di formulare una definizione di artista:
L'artista è colui che possedendo tutti i requisiti, riesce a rendere tangibili idee potenti con padronanza e consapevolezza creando, qualcosa di unico e innovativo.
Mi pare che le macchine sono ancora molto lontane da questo traguardo.