Se a questo aggiungiamo poi che è uno dei pochi che nelle sue analisi affronta le questioni in maniera franca e diretta, in un settore dove anche gli editorialisti più sconosciuti, sentendosi diplomatici in carriera affrontano le questioni prendendole nella maniera più ambigua e larga possibile, è facile capire come ancor di più che nel caso di Barbero, chi lo segue, spesso corre il rischio di finire per considerare la sua particolare visione dei fatti in oggetto come l'unica interpretazione vera e corretta degli stessi. Se ciò era appunto falso con Barbero, questo tipo di approccio nella materia di Fabbri oltre che fallace può rivelarsi anche pericoloso, per chi basandosi su quelle analisi deve prendere delle decisioni.
Cerchiamo di spiegarci meglio; la geopolitica come disciplina nasce verso fine ottocento, in piena epoca positivista, e di quel periodo ha ereditato (e mantenuto) pregi e difetti; cioe ha una visione del mondo razionale e questo senza dubbio é meritevole, ma per contrappeso è anche un po' troppo deterministica e meccanica.
A parere mio Fabbri lascia trasparire tutto questo, dando l'impressione nelle sue pur ottime analisi, che non applichi le regole della geopolitica come regole teoriche perfettibili, ma piuttosto come regole matematiche immutabili, date una volta ed una soltanto, in un campo dove al massimo si potranno scoprire nuove regole, ma MAI correggere quelle già presenti, perciò sebbene i suoi report sulle vicende internazionali abbiano un piglio disincantato e pragmatico, dànno comunque l'impressione che nello stilarli l'autore abbia applicato gli schemi della sua disciplina con troppo dogmatismo e rigidita.
In particolare considero sbagliato l'approccio marginalistico verso i nuovi scenari e le acquisizioni tecnologiche, prendere come immutabili le dinamiche umane, il non dare la giusta considerazione all'imprevisto (il famoso cigno nero) in situazioni estremamente complesse, il considerare come ininfluenti pratiche e discipline che nel corso del novecento se spoglie da aspettative fantascientifiche, invece si sono rivelate estremamente valide come ad esempio; la propaganda, a maggior ragione in uno scenario come il nostro dove le informazioni viaggiano ad estrema velocità e sono diventate estremamente pervasive. Reputo che questo modo di fare rischia di portare a giudicare l'improbabile, per impossibile e l'illogico come inattuabile.
Per fare alcuni esempi presi dalle sue lezioni: percepisco un aurea di dogmatismo quando si scaglia contro la mentalità economicistica; se è innegabile che la nostra societa vive concentrandosi troppo sulle dinamiche economiche, e comunque vero che difficilmente nel mondo moderno un paese può perseguire una politica di potenza con scarsi mezzi, come dimostra la Russia, purtroppo i costi vertiginosi della ricerca e sviluppo di nuove tecnologie non si finanziano con la gloria.
Altrettanto dogmatismo vedo nel rapporto massa/leader; se e vero, come è vero che il leader è un prodotto della societa in qui abita e non il contrario, mi pare altrettanto evidente che se quest'ultimo sa dimostrarsi un capo capace riuscirà ad incidere sulla narrativa del suo popolo. Nella visione di Fabbri giustamente il leader è l'esponente più capace/fortunato, ad emergere in un certo contesto, il classico uomo giusto, al momento giusto, però è anche ininfluente o quasi sullo scorrere dei grandi eventi, è sotto questo aspetto, a mio parere sottovaluta il ruolo di queste figure, per dimostrarlo facciamo qualche esempio concreto: Prendiamo il caso della rivoluzione francese; se non ci fossero stati i vari Robespierre, i giacobini e gli ideali illuministi, posta per com'era la società francese dell'epoca, molto probabilmente sarebbe emplosa comunque sotto altri ideali e capi, ed a riprova che girondini e giacobini furono solo i più abili a controllare l'esplosione è non coloro che diedero fuoco alle polveri, sta il fatto che i testi di Voltaire e compagnia su cui si basavano i loro ideali, giravano per tutta europa, alcuni regnanti addirittura si glorificavano dell'amicizia con i filosofi senza che questo abbia portato sconquassi nei loro rispettivi paesi. Fin qui credo che tutti possiamo essere d'accordo con la visione della storia che ne darebbe Fabbri, però a parere mio è altrettanto indubbio che una volta che i portatori degli ideali illuministi presero la testa di quella rivoluzione scremate delle frange piu estreme, riuscirono a imprimersi nello spirito francese, cosi profondamente che ancora oggi, quei concetti fanno parte della loro narrativa nazionale. Ancora, spostiamoci di qualche anno e guardiamo alla figura di Napoleone Bonaparte; se è indubbiamente vero con buona pace dei suoi entusiasti, che senza il popolo francese alle sue spalle al massimo sarebbe passato alla storia come un buon generale, è altrettanto innegabile che grazie alle sue personali capacità, seppe prendere quegli stessi ideali rivoluzionari di cui prima, e trasformarli, per porli a base del nuovo spirito imperiale francese, e tutto ciò gli riuscì cosi bene che tuttora quel sentimento cova oltralpe, ma non basta, prendiamo l'uomo stesso; già in vita grazie alle sue capacità, fu cosi abile da diventare parte inscindibile della grandeur francese, per assurgerne ad emblema una volta morto. percio si, se e vero che poco i grandi condottieri possono sugli eventi e gli umori che li hanno spinti al potere, se accorti, molto possono su quelli che gli succederanno.
altra cosa che trovo problematica nel suo stile, anche se probabilmente in buona fede, e quella di costruire una narrativa di quanto già avvenuto con un senno di poi, utile a far quadrare la sua analisi, emblematici in questo senso mi sembrano i suoi podcast in collaborazione con il gruppo Sanpaolo, dove addirittura, nelle puntate dedicate a Napoleone e Pericle ho trovato delle forzature belle e buone! naturalmente queste ricostruzioni sono affascinanti e in genere plausibili, ma è importante aver chiaro in mente che conosciuti esiti e premesse di un evento e facile ricostruirlo alla luce delle proprie teorie per quanto strampalate queste siano, magistrale in quest'arte e stato Carlo Maria cipolla e la sua: "Pepe, vino (e lana) come elementi determinanti dello sviluppo economico dell'età di mezzo". Un altro modo per avvallare le proprie tesi e quella di riportare solo esempi che confermino le proprie teorie, ed anche di questa tecnica Fabbri fa un discreto uso, ad esempio mi viene in mente il famoso, per chi segue fabbri, concetto che: "gli imperi non si ritirano, perche altrimenti verrebbero rincorsi dai tanti nemici che si sono lasciati alle spalle" effettivamente in generale funziona così, Fabbri per comprovare la sua tesi fa l'esempio di Roma ( a me sovviene anche la Russia comunista), però per confutarlo e dimastrare che la realtà non è una partita a scacchi, perciò le regole si possono anche violare, si potrebbe fare il controesempio degli inglesi, che nonostante qualche loro politico ancora faccia fatica a riconoscerlo, sono riusciti a ritirarsi egregiamente dal proprio impero, mantenendo nel contempo ottimi rapporti con alcune ex province.
In estrema sintesi nel seguire questi concetti bisogna fare attenzione perche lo scambiare la prassi razionale come regola, rischia di fare fare alle analisi di Fabbri e di chi li prende come verita assoluta, la stessa fine dell'arcinoto tacchino induzionista, che facendo troppo affidamento sul ripetersi di alcune costanti ha fatto la fine che tutti sappiamo.
Post scriptum
Quasi dimenticavo! Un'altro fattore da tenere presente quando si valutano le analisi di Fabbri è la linea editoriale del giornale per cui lavora, spiccatamente filo atlantica, si sa come vanno le cose; se qualcuno per un motivo o per l'altro ci sta simpatico, si fa presto a dargli più punti di quanti in realta ne merita, questo però fa parte del gioco.
Aggiornamento 22-02-2022
Fabbri si è separato da limes, ed ha mio avviso; oltre ad una evidente adozione dei metodi "democristiani"; cioè il tenere una certa ambiguità nel dare colpe, meriti e giudizi, si percepisce il mancato supporto da parte di Caracciolo, che probabilmente in qualità di direttore si occupava di aiutarlo, ad affinare teorie ed ha limare gli aspetti più rozzi dalle sue analisi, che infatti non beneficiando più di questa mitigazione mostrano in maniera più evidente tutte le criticità del suo metodo; tralasciando l'acutezza e le intuizioni fulminanti che da sempre lo contraddistinguono ad ascoltarlo adesso per esempio; mi da proprio l'impressione che voglia adattare la realtà al suo modello anziché il contrario; emblematico di tale metodo è la sua analisi della crisi ucraina; mi pare che per Fabbri il tutto si riduca ad una partita a scacchi dove l'analisi degli avvenimenti passati abbiano poca influenza è sono utili solo per capire come siamo arrivati alla mossa in essere, che presa singolarmente fuori dalla complessità del contesto e facile da spiegare secondo i suoi schemi, ma ovviamente non è cosi che si deve procedere; come del resto dimostra il fatto che, nonostante lui continui a dire che nessuno dei giocatori vuole la guerra, perfino io ( ma non solo, naturalmente) avevo previsto che con un democratico al governo, America e Russia sarebbero arrivati ai ferri corti; che in soldoni vuol dire che; gli Stati Uniti prima di dedicarsi alla Cina avrebbero tentato di chiudere definitivamente il dossier russo e nel frattempo, smorzare sul nascere eventuali velleità Tedesche, o Europee in generale; che detta in maniera più semplice vuol dire che: prima di occuparsi del pacifico per la casa bianca e strategico costruire un muro che divida l'Europa occidentale dal resto del continente in modo da poterla legare a tempo indefinito, mi dispiace per Fabbri ma i fatti sono chiari ed il resto è un ricamarci sopra per adattarlo al propri modelli.
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