martedì 21 gennaio 2025

Neill Gaiman, ovvero: quando la nave affonda i sorci scappano

Sto seguendo con un certo interesse la vicenda di Neil Gaiman, lo scrittore accusato di aver molestato un significativo numero di donne.

In genere non mi interessano molto questi fatti privati, specie se ancora sono poco più che livello "gossip"; questa volta, invece, sto facendo un eccezione per via di alcune vecchie esternazioni di Gaiman nei confronti della Rowling. A quanto pare, il nostro Neill è rimasto vittima della legge del contrappasso. 

Poco male, di certo non smetterò di leggere "American Gods" solo perché l'autore e sospettato di essere un porco con fantasie BDSM.

Però, c'è una cosa che in tutta storia mi ripugna veramente tanto, e cioè l'operazione terra bruciata che amici, colleghi e conoscenti stanno facendo attorno alla sua persona. La nausea mi è salita Intanto che leggevo la notizia di come anche John Scalzi (che fatemelo dire: come scrittore non è degno nemmeno di allacciare le scarpe a Gaiman), abbia deciso di prendere pubblicamente le distanze dall'ex amico.

Il caso di Gaiman non e l'unico del suo genere; anzi, ci troviamo dinanzi a un comportamento tipicamente anglosassone, cultura dove anche nei rapporti più intimi, la reputazione pubblica vale molto più delle relazioni personali e dello stesso principio di presunzione d'innocenza.

Questa storia, mi ha portato alla mente una situazione per certi versi analoga, ma con un protagonista di ben altro spessore umano rispetto a Scalzi: quando Monzón, il famoso pugile sud americano finì in carcere per l'omicidio della compagna, tra i pochi che non gli voltarono le spalle c'era Nino Benvenuti. Benvenuti, non rinnegando il rapporto con Monzón, che ricordiamolo, tra le altre cose, aveva messo fine alla sua carriera, non voleva insinuare che vi fosse stato qualche errore giudiziario a incastrare pugile, e naturalmente non voleva neppure fare intendere che il crimine dell'altro fosse qualcosa di poco importante: Monzon in un eccesso di rabbia, aveva strangolato e scaraventato giù dal balcone la propria compagna!  Semplicemente, l'amicizia è anche questo. Francamente, questa cosa tutta anglosassone, per cui al minimo sospetto si rinnegano amicizie e parenti, mi pare qualcosa di estremamente vigliacco. Questa non è amicizia, ma l'opportunismo dei sorci che, quando il legno affonda, con "estrema dignità" e "profonda tristezza" abbandonano la nave. 

Per carità nessuno pretende che per onorare un'amicizia si dia l'assalto al carcere. Lealtà personale e complicità sono cose ben diverse. Ma mi domando quando possa durare e prosperare  una società dove al minimo sospetto di caduta tutti ti voltano le spalle, dove per solidarizzare con le vittime non basta riconoscere la pena che la giustizia ha inflitto al colpevole. 

Uno dei maggiori problemi del acquariofilo e capire in tempo se un pesce è ammalato, questo perché in natura mostrare una qualche forma di debolezza è un invito rivolto agli altri animali ad approfittarsene, per questo motivo, i pesci sono diventati bravi a dissimulare debolezze o patimenti, finché non è troppo tardi. La società statunitensi non mi pare poi così dissimile, tante persone all'apparenza sani e felici aderenti ai "valori della comunità" finché qualcosa esplode e qualcuno si scopre essere un violentatore seriale e qualcun'altro finisce per fare strage in una scuola.

lunedì 13 gennaio 2025

Femminicidio, ovvero c'è morte e morte

Radio 24, radiogiornale delle 19:00.
Prima notizia: grande commozione per l'assoluzione del ragazzo che ha ucciso il padre per difendere la madre. L'avvocato della difesa, intervistato, non risparmia alcune frecciate al pubblico ministero, a suo dire  troppo accanito.

Seconda notizia: indignazione per il settantenne, ripeto settantenne, che invece dell'ergastolo riceve una condanna a trent'anni per aver ucciso moglie e figliastra. Gli sono state riconosciute attenuanti legate ai disaggi psicologici vissuti. Stavolta non si dà spazio alla difesa, ma si intervista l'avvocato dei familiari delle vittime.

Sarà un caso, per carità, ma quando certe dinamiche seguono sempre la stessa direzione, un po' di paranoia viene. Pare evidente che, per alcune testate, ci sia un interesse nel distinguere cittadini di serie A e cittadini di serie B.

Non credo sia una questione di uomini contro donne, come dimostra il fatto che certi crimini, anche quando le vittime sono donne, vengono ignorati. Un esempio è la storia degli abusi sessuali su ragazze minorenni che, pur suscitando grande clamore in Inghilterra, qui da noi passano quasi sotto silenzio. Al punto che, quando lessi la notizia su internet per la prima volta, pensai si trattasse di una fake news. L'obiettivo dello stigma che si vuole promuovere è chiaramente il maschio bianco, nel suo ruolo di marito o compagno.

Sarà pure un'idea da suprematisti trumpiani, ma se per evitare di apparire complottisti bisogna fare la figura dei fessi, allora anche no.

Una piccola precisazione:

Naturalmente, non penso che ci sia dietro davvero chissà quale complotto, grandi vecchi o cose simili. I grandi vecchi, generalmente, soffrono di demenza. Penso semplicemente che, per meri interessi, i giornalisti e i loro padroni seguano lo spirito del tempo.

 In questo sono molto sfortunati: da provinciali quali sono, non si sono accorti che il vento è cambiato. Queste scemenze arrivavano tutte da oltre oceano, ma, visti i recenti segnali che arrivano da lì (Facebook che annuncia che eliminerà i "fact-checker", Bezos che va a trovare Trump, Musk, ecc.), mi sa tanto che siano giunte al capolinea.

Non pensare che ciò sia un bene: se Trump riesce anche solo in parte a realizzare quello che promette, li vedrete presto a inveire contro la Cina, ad auspicare a un taglio del welfare e a proporre di armarci fino ai denti. 

giovedì 9 gennaio 2025

Americanate

Ieri ho visto l'adattamento statunitense dello stupendo manga e poi anime giapponese, "Ghost in the Shell": film in cui, come era prevedibile, quasi tutti i personaggi principali sono interpretati da attori occidentali, cosa che al tempo suscitò le ire dei soliti moralizzatori woke, che evidentemente non conoscono il significato della parola "adattamento" e, in fondo al cuore, credono che gli altri popoli siano troppo scimmie per creare, se lo vogliono, qualcosa senza il loro aiuto. 

In realtà da quando sono sorte queste correnti di pensiero l'unica vera vittima offesa è la legge della genetica, lei sì non rappresentata correttamente. Infatti qui come in molti altri film usciti di questi tempi a Hollywood non è raro imbattersi in personaggi di etnia palesemente diversa da quella dei loro genitori, la madre della protagonista del film ad esempio, e frutto di un "casting inclusivo". Peccato che un operazione del genere, invece di suggerire inclusione, insinua nello spettatore più di un dubbio sulla morigeratezza di certe madri.

Ma gli americani, si sa, al rispetto delle altre culture ci tengono ( o forse più probabilmente conoscono i propri polli), quindi oltre a infischiarsene bellamente delle leggi di Mendel, cosa hanno fatto per esprimere questo rispetto?  Semplice: hanno preso uno dei personaggi e lo hanno messo a parlare giapponese per tutto il film. Secondo me, una scelta simile è emblematica di come una certa america interpreta il rispetto per gli altri: "una fastidiosa rottura di scatole".


Pensare che gli Stati Uniti erano il paese di Neuromante e Blade Runner, chi, a parte questi fanatici, che considerano gli scambi culturali, non come qualcosa che arricchisce ma come un'appropriazione indebita, che impoverisce chi ne è vittima, avrebbe inteso l'opera se non che, come un omaggio all'originale nipponico, se oltre ai personaggi americani, il film fosse addirittura ambientato in una Los Angeles o una San Francisco futuristica?

Ma l'aver dimostrato che il trattare certi temi in maniera ipocrita e ideologica, sia un ottimo sistema per raggiungere esattamente l'effetto opposto di quanto prefissato, non è l'unica lezione su come sono fatti gli americani che possiamo portare a casa da questo film. 
Altrettanto interessante mi pare osservare di come Hollywood in un operazione di adattamento culturale sia riuscita a trasformare un'opera piena d'introspezione e di riferimenti filosofici. In uno spettacolare polpettone individualista e materialista, condito dalla solita paranoia contro il governo (un aspetto che in verità, considerati i recenti sviluppi in occidente, non mi sento di biasimare troppo): se infatti nell'opera originale, soprattutto nell'anime che ne è stato tratto, i personaggi sono usati come pretesto, per riflettere in maniera universale e astratta sulla possibilità che la coscienza possa esistere indipendentemente da un supporto fisico e indaga il significato di "essere" in un mondo dominato dalla tecnologia, dove l'aspetto materiale è solo un punto di partenza per discutere temi più profondi e immateriali, l'identità viene vista come qualcosa che trascende il corpo, una costruzione dinamica che si evolve attraverso le connessioni e le esperienze. 


Nel film, questa complessità è in gran parte sacrificata in favore di una narrazione più concreta e facilmente comprensibile, legata alle emozioni e alla vendetta personale, l'identità di Motoko è spesso legata al suo corpo fisico (il "guscio") e al suo passato umano tangibile. La trama si concentra su aspetti concreti, come il recupero della sua memoria e l'origine del suo corpo cibernetico, riducendo il peso delle riflessioni astratte sulla coscienza e sull'anima. Questa scelta lo rende più materialista, sia nei temi che nella rappresentazione, riducendo tutto a una banale storia di accettazione di sé e ricerca del proprio passato.


Naturalmente, prima di scrivere questo post ho fatto i compiti a casa, percio so che i produttori hanno giustificato la loro scelta di semplificare l'opera per poter raggiungere un pubblico più vasto possibile. Ma resta il fatto che i giapponesi, con tutti i distinguo che questo tipo di media  ha nella loro cultura, in un anime non hanno sentito questa necessità, mentre  gli statunitensi in un film si, e anche questo mi pare significativo.

Infine come già accennato, c'è la concezione negativa del governo e delle organizzazioni governative che il film lascia trasparire, un altro aspetto su cui mi pare interessante soffermarsi:

Nel Ghost in the Shell originale (sia nel film del 1995 che nell'anime), il governo è presente, e  ci sono vari  riferimenti a conflitti geopolitici e alle dinamiche di potere ma non ha lo stesso ruolo esplicito e centralizzato come nell'adattamento. 

Nel film c'è una chiara enfasi sul governo e sulle sue manipolazioni, con una rappresentazione piuttosto negativa delle sue azioni, in particolare nel contesto della creazione del corpo cibernetico della protagonista, Motoko. La figura del governo è spesso associata a segreti, inganni e abusi di potere, con un forte accento sulla sorveglianza e il controllo.

Sebbene molti critici interpretino questo spostamento di focus, attribuendolo alle nuove problematiche che l'adozione delle recenti conquiste tecnologiche hanno portato con loro, a mio avviso ciò ha fatto sì, radicalizzare il fenomeno, ma questa differenza è dovuta a motivi più antichi e  profondi, ovvero, dipende da come gli statunitensi interpretano lo stato a partire dagli stessi padri fondatori, cioè come un intralcio se non addirittura un nemico delle libertà personali, da contenere il più possibile. In sintesi una volta deciso che bisognava semplificare il film, hanno preferito affidarsi a temi più familiari e congeniali alla cultura americana.

A questo proposito, un'ultima riflessione: Se si comprende questa forma mentis, non c'è da stupirsi se gli americani vedono così di malocchio i governi dittatoriali: se già un governo democraticamente eletto ai loro occhi appare come una coterie di interessi personali, che persegue propri scopi a scapito degli interessi degli individui, figuratevi cosa possono pensare di un dittatore, l'idea che indipendentemente dalla forma di potere un governo possa perseguire anche gli interessi del proprio popolo è un concetto a loro totalmente estraneo.

Un pensiero che dovremmo tenere a mente noi europei, che fino a poco tempo fa criticavamo l’America e la sua pretesa di fare lo "sceriffo del mondo", e che oggi, invece, in troppi sarebbero disposti a ricoprire il ruolo di "vicesceriffo", aiutando così a "esportare la democrazia".