Ieri sera ho ascoltato una conferenza interessante di Lucio Caracciolo, dove il famoso studioso geopolitico, abbandonati certi sorrisini di commiserazione, non solo riconosce che la grave crisi che gli Stati Uniti stanno vivendo è cosa più seria di quanto si vuole far credere, ma addirittura la diagnostica non come un declino, magari rapido, ma come un vero e proprio crollo.
Finalmente! Dico io, adesso anche qui da noi, forse, si smetterà di parlare di sesso degli angeli. Capisco che ormai il solo nominare la Russia senza inventarsi qualche altra improbabile malattia da affibbiare al suo presidente, classifichi automaticamente chi lo fa come putiniano. E che se si parla d'America, l'ordine di scuderia è di rappresentarla come una forte e felice nazione, purtroppo momentaneamente tenuta in ostaggio dal malvagio Trump. È a onor del vero,  in tal senso anche il direttore di Limes, nonostante si sia sempre mosso con intelligenza, ha dovuto pagare la sua libbra di carne.  Ma uno studioso che vuole continuare a chiamarsi tale, prima di tutto nel rapportarsi con i fatti, deve dotarsi di una lente interpretativa onesta e indipendente, non degli stessi occhiali che chi è interessato a controllare la narrazione gradirebbe fossero sul naso di tutti.  È in tal senso confesso che la mia stima, va verso il povero professor Orsini, che nonostante le tonnellate di fango che gli hanno spalato addosso, alla fine dei conti, se andiamo a ripescare le sue previsioni sono molto più in linea con ciò che poi è effettivamente avvenuto.
Tuttavia, nonostante abbia apprezzato il cambio di passo, devo dire che una prognosi così nefasta mi lascia alquanto perplesso. Vero che la situazione in America è piuttosto seria: da un lato il declino relativo rispetto alle nuove potenze emergenti. Dall'altro, perlomeno dal duemila in poi tutta una serie di presidenti assolutamente inadatti alle sfide che le contingenze storiche prospettavano davanti.  E a dirla tutta, le stesse politiche di Bill Clinton se giudicate col senno del poi non si sono rivelate così lungimiranti. Continuando, anche sul piano sociale, l'America non se la passa tanto bene, i vecchi conflitti, mai risolti, stanno venendo a galla tutti in blocco, e fenomeni come la polarizzazione delle posizioni ne stanno facendo nascere di nuovi.
Però, appunto, nonostante le difficoltà non mancano, mi pare che stavolta Caracciolo nel dare per spacciati gli Stati Uniti, anche se solo per provocazione, pecchi dal lato opposto. La potenza militare del paese è fuori discussione, la sua moneta, nonostante i colpi autoinflitti, detta ancora legge e sul piano scientifico e culturale, gli Stati Uniti rimangono il faro del mondo. Nel mentre i suoi rivali fanno tutt'ora fatica a tenere il passo, la Russia benché non sia più quella degli anni novanta, soffre di alcune debolezze che gli eventi degli ultimi anni hanno chiaramente evidenziato, mentre la Cina rimane ancora inchiodata alle sue coste, dimostrando che il "contenimento" americano regge ancora. Comunque ho già scritto sia di quali sono a mia opinione gli assi che l'America ha ancora da giocare, sia dei motivi per cui questa crisi è particolarmente grave, a ragione di ciò non starò a dilungarmi. 
Invece mi piacerebbe provare a ipotizzare quali sono le strategie,  un po' spontanee, un po' pilotate dall'alto, che l'America sta provando ad applicare per provare a salvarsi. Intanto diciamo subito che cercare di puntellare il primato tecnico scientifico, e riportare la produzione a casa è una cosa talmente ovvia che non la definirei nemmeno una strategia, ma un semplice atto dovuto. Detto questo mi pare che le principali strategie,  finora emerse siano tre. Non si tratta di un numero casuale, visto che secondo me operano su piani differenti, ovvero: culturali, geopolitici e sistemici. Ma esaminiamole meglio:
La prima, quella più delirante consiste nel fare una specie di rito di purificazione collettivo. Questo per me, sono fenomeni come l'ideologia woke (ma anche il movimento m.a.g.a.)  e simili. Un'isteria di massa, alla quale gli americani cadono spesso preda quando si trovano davanti a qualche crisi. Poco importa se i presunti nemici si chiamano: streghe, negri (nel sud dopo la guerra di successione), comunisti o maschio bianco etero. Lo scopo mi pare chiaro il ritrovare una coesione sociale dopo aver redento o epurato i cattivi. Un lascito del puritanesimo.
La seconda strategia, anche questa in qualche modo ricorrente consiste nello spostare l'attenzione sul nemico esterno. La strategia del primissimo Trump con la Cina. Ma anche quella sia dei neocon, che dei democratici di Biden contro la Russia ( ai tempi, subito dopo che si insediò, ebbi gioco facile a predire che quel presidente ci avrebbe riportato indietro in una nuova guerra fredda).
 
La terza strategia, sicuramente la più ambiziosa, è quella che sta provando a mettere a segno il blocco di interessi che supporta la presidenza Trump, un insieme eterogeneo di settori economici, politici e culturali che hanno trovato in lui un veicolo utile, ma di cui la presidenza stessa è solo la parte pubblica e sacrificabile, come dimostra il fatto che tale processo, anche se in modo più defilato, è andato avanti anche sotto la presidenza Biden. E a mio vedere, consiste in una riforma in toto del sistema di governo con un'accentramento dei poteri. qualcuno forse ricorderà che ne accennai già, cercando di spiegare cosa questo avrebbe comportato per noi. Precisamente quando scrissi che con la crisi dell'egemonia americana, le libertà democratiche di cui gli stati satelliti come il nostro godevano, erano destinate a contrarsi, perché l'egemone avrebbe accorciato la cinghia. 
Ma questa contrazione non è destinata solo agli stati clientes, la causa principale del male di cui soffre l'America è interna, ed è lì che bisogna intervenire. Stiamo parlando Più precisamente dell'estrema frammentazione dei poteri e dei relativi interessi che ha colpito gli stati Uniti negli ultimi decenni, Insomma una società democratica può mandare avanti uno stato finché tutti si naviga grosso modo verso la stessa direzione, ma quando iniziano a circolare idee come: "la società non esiste, esistono solo gli individui", o che: "le aziende devono rendere conto solo ai propri azionisti", anche le superpotenze iniziano ad arrancare.
Quando si è al centro del mondo, il fatto che la classe che gestisce il denaro, compresa la propria, sia globalista, è una buona cosa, perché da che mondo è mondo, questo genere di flussi si muovono dalla periferia verso il centro. Ma in un mondo sempre più multipolare, questo tipo di gioco comincia a essere rischioso.  Specialmente senza un nemico percepito come tale che aiuti a tenere tutto unito. Va bene che la cultura anglosassone promuove la filantropia, ma con l'elemosina non si manda avanti una nazione, specie se questa ha ambizioni egemoniche. 
Quindi, l'obiettivo è quello di far tornare a coincidere, per quanto possibile, gli interessi della varie classi sociali, in special modo della classe dirigente del paese, con quelli della nazione nel suo insieme. Francamente in questo processo faccio fatica a prevedere se alla fine saranno gli oligarchi delle classi dirigenti, a rinunciare ad alcune loro prerogative e fonti di guadagno (soprattutto quelli derivati dalla sovraestensione del paese), per provare una nuova ripartenza. Oppure per l'ennesima volta sarà la nazione, a piegarsi ai loro interessi,  magari prendendo una banale deriva autoritaria. l'America è il paese delle libertà, ma che il massimo rappresentante di questa scuola di pensiero, sia un palazzinaro di New York,  non mi fa ben sperare.
Comunque, passando oltre simili dettagli, se dettagli si possono chiamare, quello che si sta cercando di fare, per arrivare a tale obiettivo mi pare abbastanza chiaro: le pressioni sulla corte suprema, la delegittimazione del congresso, la decapitazione di alcuni enti e la soppressione di altri, non sono solo gli effetti delle schermaglie tra Donald Trump e gli apparati americani, ma qualcosa di molto più serio: il tentativo di rifondare lo Stato americano, adottando nuovi principi e strumenti ritenuti più adatti a gestire le sfide dei nostri tempi. Se volete, un po' quello che avvenne a Roma quando si passo dalla Repubblica all'impero. Il paragone può sembrare azzardato, soprattutto se confrontiamo il valore umano degli attori coinvolti. Ma il meccanismo, la concentrazione dei poteri in risposta al caos è sorprendentemente simile. Naturalmente che questa transizione riesca, è ancora tutto da vedere, anche perché, per l'appunto ai tempi il capo dei populisti si chiamava Cesare, mentre il nostro si chiama Trump. Ma tant'è, la storia sa essere una gran burlona.