Durante un'intervista fattagli nei suoi anni di gloria, Henry Kissinger tra il serio e il divertito disse che l'unico paese su cui non voleva esprimere opinioni era l'Italia, perché nonostante la sua riconosciuta esperienza, della politica italiana non riusciva a capirci niente.
Se ne avessi l'occasione gli consiglierei, sempre che sia interessato a sopperire a questa lacuna e riuscire a comprendere qualcosa di più non solo su questo particolare tema, ma un po' su tutti gli aspetti che riguardano la vita comunitaria di questo strano paese, a cominciare dalla sua particella fondamentale la famiglia, di leggere un libro di uno scrittore siciliano, un libro ambientato durante il risorgimento. E no, non mi sto riferendo all'inflazionato Gattopardo, quello, come aveva ben capito Sciascia (ma non solo lui) è un testo reazionario, scritto dall'elite per altre élite, non a caso per farlo digerire alle masse occorse la mediazione (il camuffamento direi) di un altro nobile passato dall'altra parte della barricata : il regista Luchino Visconti appunto. Il gattopardo in breve è l'ultimo tentativo di difesa di una classe al tramonto che per assolversi almeno un poco si propose; indubbiamente con buoni risultati, di spiegare un popolo, non la nazione. Quello per così dire, è un libro che tira bilanci, non fa previsioni.
Invece credo sia utile per capire meglio questo paese, senza malinconie partigiane o regionalistiche, ma ragionando e portando il ragionamento sulla strada che vuole seguire, affidarsi alla bella e colta penna di Federico De roberto e il suo "I viceré", anzi meglio ancora raccomando la lettura integrale della sua saga degli Uzeda. In quei libri, si riesce a decifrare davvero il potere, le sue connivenze, le motivazioni profonde, gli intrighi e le meschinità che lo muovono. Nelle parole di De roberto, ci viene svelato di come le classi dominanti non siano demoni infernali occupati ad ordire trame complicate, ma esseri umani, al massimo forse dei poveri diavoli pronti anch'essi a vendersi l'anima per soddisfare illusorie vanità, stupide ripicche e voglia di distinguersi.
De roberto, a chi capace di capire, chiarisce perché in italia gli ecclesiastici siano al massimo temuti, ma raramente amati, spiega perché giolitti sia diventato il " ministro della malavita", chiarisce anche, per avvicinarci a questo nostro tempo come mai uno come Berlusconi nonostante tutti i capitali di cui dispone, abbia passato gli ultimi anni a tribolare con la politica.
Le storie degli Uzeda ci spiegano per dirla con Totò; del perché questo è un paese sempre con meno uomini e più caporali, di come la forse apocrifa frase di D'azeglio si sbagliava, gl'italiani erano belli che fatti molto prima dell'italia stessa, e il caso forse sarebbe stato quello di disfarli, non di farli. Nell'opera di De roberto riconosciamo quel: " Lei non sa chi sono io!" Che se al giorno d'oggi raramente abbiamo pudore di gridare ad alta voce, è sempre ben presente nelle nostre teste, specie quando ci accingiamo ad autoassolverci delle piccole, o grandi furberie che ogni giorno commettiamo.
Con un secolo di anticipo l'autore è riuscito a presagire quell'individualismo che forse proprio da noi più che da altre genti si è fatto estremo, e ci porta ad essere indifferenti mentre quella nave in comune che si chiama nazione, imbarca acqua, perché trovandoci magari su un pezzo di legno ancora asciutto, non riusciamo a capire che se la nave affonda anche il cantuccio che ci siamo ritagliati per noi, farà altrettanto. Così allo stesso modo facciamo finta di non vedere le tribolazioni degli altri e le storture che giornalmente accadono, perché come gli Uzeda ci crediamo troppo furbi o troppo in alto per finire intrappolati in certi meccanismi, salvo poi caderci rovinosamente dentro sotto gli sguardi impassibili degli altri, convinti a loro volta che tutto ciò non li riguarda.
De Roberto è assieme a Manzoni il più lucido e smaliziato analista del nostro spirito nazionale. I viceré non meno dei promessi sposi, è davvero il romanzo fondativo di questo paese, dove attraverso le vicende a volte gravi, a volte futili, di una grande famiglia lo scrittore è riuscito ad illustrare il carattere di una nazione.
Per concludere, una postilla dedicata a Sciascia che avevamo nominato prima; anche lui si propose di interpretare la sua contemporaneità con un'intrigante metafora: una linea della palma che designa il limite massimo dove quest'albero riesce ad acclimatarsi, linea che ogni anno sale sempre un poco più a nord trascinandosi e facendo attecchire assieme ad essa, anche alcune cattive abitudini provenienti dall'areale d'origine dell'albero. Ecco in parte di questa teoria dissento, in realtà anche al nord le palme c'erano già, anche rigogliose in vero. Forse perché di altre specie, lo scrittore non riuscì a riconoscerle.
D. I.
… Ma la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male... Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa.»
F. De Roberto