martedì 28 ottobre 2025

Una mosca



Ottobre inoltrato, e sul tavolo due mosche. Fastidiose come tutte le mosche, ma più vecchie, più anziane. Gli antichi, le mosche autunnali, le credevano incattivite, rancorose per la vita che le abbandonava. No, sono solo più lente, più vecchie. Attonite davanti il proprio destino. Come un cane o come un Cristiano.

Sullo stesso tavolo, un piatto pieno di briciole di torta: la mosca vi si fionda, ancora per un'ultima volta, incurante dei giganti che un tempo le parevano così lenti. Adesso la fame e la stanchezza sono a suo sfavore. Giorni andati, d'estate, con quegli occhi e quelle ali, pareva che il mondo fosse suo. Ali e occhi come pochi altri esseri nel mondo.  Ancora: gli antichi pensavano che le mosche fossero figli del demone, tanto erano potenti gli insetti fastidiosi. A vederle adesso l'impressione è confermata; figlie di un diavolo ingannatore, che prima esalta e dopo distrugge. 

Allora tanto vale catapultarsi fra le briciole e li far concludere il destino. Così avrebbe sentenziato l'insetto, se capace di pensiero. Ma per tanto, basta l'istinto a giungere a analoga conclusione.


Lì, io colgo il fastidioso scocciatore di certe dolci mattine estive, dei miei pomeriggi d'ozio. Mi basterebbe allungare la mano, meglio ancora la paletta! E farei vendetta del loro ronzare inopportuno, di tutte le loro intromissioni maleducate. Ma proprio sul più bello, io esito; che onore c'è nel concludere così l'antica battaglia. Troncare sul più bello il saziarsi del insetto, oramai Vecchio e affamato. 

Non c'è forse più giustizia nell'accordare tregua, e concedere così alla povera bestiola, la gioia di un ultimo pasto, forse l'unico tranquillo di tutta un'esistenza? 

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