Sullo stesso tavolo, un piatto pieno di briciole di torta: la mosca vi si fionda, ancora per un'ultima volta, incurante dei giganti che un tempo le parevano così lenti. Adesso la fame e la stanchezza sono a suo sfavore. Giorni andati, d'estate, con quegli occhi e quelle ali, pareva che il mondo fosse suo. Ali e occhi come pochi altri esseri nel mondo.  Ancora: gli antichi pensavano che le mosche fossero figli del demone, tanto erano potenti gli insetti fastidiosi. A vederle adesso l'impressione è confermata; figlie di un diavolo ingannatore, che prima esalta e dopo distrugge. 
Allora tanto vale catapultarsi fra le briciole e li far concludere il destino. Così avrebbe sentenziato l'insetto, se capace di pensiero. Ma per tanto, basta l'istinto a giungere a analoga conclusione.
Lì, io colgo il fastidioso scocciatore di certe dolci mattine estive, dei miei pomeriggi d'ozio. Mi basterebbe allungare la mano, meglio ancora la paletta! E farei vendetta del loro ronzare inopportuno, di tutte le loro intromissioni maleducate. Ma proprio sul più bello, io esito; che onore c'è nel concludere così l'antica battaglia. Troncare sul più bello il saziarsi del insetto, oramai Vecchio e affamato. 
Non c'è forse più giustizia nell'accordare tregua, e concedere così alla povera bestiola, la gioia di un ultimo pasto, forse l'unico tranquillo di tutta un'esistenza? 
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