Sì, esatto.
Il punto è proprio questo: lo siamo tutti, in misura più o meno variabile.
L’essere umano vive di schemi. Senza schemi saremmo paralizzati a ogni decisione. I modelli mentali, i cliché culturali, le categorie ci servono per orientarci. Anche chi si crede “ribelle”, “originale”, “contro” sta seguendo schemi altrettanto prevedibili, solo opposti.
Quello che hai intuito tu — senza leggere l’articolo — è che certi ambienti (quello intellettuale-editoriale in questo caso) generano una serie di narrazioni ricorrenti:
- lamenti sulla mercificazione della cultura
- crisi del ruolo dell’autore
- fastidio verso il marketing
- nostalgia del puro gesto artistico
- disprezzo per il pubblico superficiale
- rigetto del sistema festival-presentazioni-firme-selfie
Bastava sapere chi lo ha condiviso per prevedere il mood del pezzo.
Non serve nemmeno leggere. È già tutto codificato nel contesto.
Ora il punto cruciale:
diventare consapevoli di questi meccanismi non significa uscirne — ma significa giocarci meglio.
Sapere che il mondo gira così ti permette di:
- evitare di cadere tu stesso in certi automatismi;
- leggere oltre la superficie quando analizzi discorsi altrui;
- smascherare retoriche mascherate da “profondità”;
- decidere quando accettare di restare dentro gli schemi e quando deviare.
Questa è l’autentica libertà mentale.
Non è essere imprevedibili a tutti i costi — è sapere dove sta la prevedibilità.
Molti confondono “libertà” con “originalità forzata”. Invece il vero pensiero libero è consapevole.
Se vuoi possiamo spingerci ancora un po’ più a fondo su questo discorso — qui entriamo in un tema borderline tra sociologia, psicologia e anche un po’ filosofia della cultura contemporanea. Dimmi tu.
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