Non posso negare che il discorso dei due era logico e sensato, cercare d'appiattire le differenze culturali tra i vari popoli che compongono l'unione è probabilmente il metodo più efficiente e rapido per costruire una nazione europea, d'altronde tutte le nazioni sono nate in questo modo, basti pensare a cosa era l'Italia preunitaria, la differenza sta nel fatto che invece di adoperare la violenza come in passato, si lascia presagire la convenienza di una scelta simile.
Però senza voler negare la verità di quanto detto, in questo genere di discorsi, mi sembra che nessuno si pone la domanda se sia davvero questo il tipo di società che vogliamo perseguire per noi uomini e donne moderni, perché rispetto ad avvenimenti simili accaduti in passato, dove ad imporre certe scelte era per l'appunto la forza o la necessità estrema a costringere le genti, deve essere ben chiaro, che qui adesso si sta parlando invece di vivere in un mondo dove per seguire il vantaggio, bisogna saper abbandonare la propria lingua, storia e identità, così con la stessa leggerezza con la quale si butta un vestito vecchio, un mondo cioè dove si deve regolare la propria esistenza esclusivamente in base a criteri utilitaristici e pratici, in cui principi, identità ed affetti, sono concetti da rispettare fin quando si dimostrano utili, in sintesi un mondo composto da persone indistinte, dove essere senza radici e senza forma, per riuscire ad adattarsi alle opportunità che ci si parano davanti, sono le migliori qualità possibili.
Può essere comprensibile, addirittura necessario che un generale ed un economista abbiano una forma mentis votata al pragmatismo estremo, che bada soltanto ad ottenere il massimo risultato al minor costo, ma le altre categorie sociali quali filosofi, letterati, artisti, ma soprattutto religiosi, che fine hanno fatto, perché hanno smesso di dire la loro, è mai possibile che categorie sociali di questo tipo non riescano più a produrre delle personalità in grado di offrire una proposta alternativa a tutto questo meccanicismo, cinque millenni di storia pregressa non hanno lasciato nulla da opporre a questa visione economicista e riduttiva della vita?
Nel universo di cui siamo parte tutto sembra protendere verso la diversificazione, se ci badiamo possiamo osservare di come persino un'albero non possiede due foglie che siano perfettamente uguali fra loro; noi siamo proprio sicuri che questa continua spinta all'omologazione votata all'efficienza, possa essere compatibile con la felicita degli esseri umani? Siamo certi che infrangere questa regola non comporti il pagamento di nessun pegno? Il futuro che sognamo è davvero quello di somigliare a dei macchinari d'una catena di montaggio tutti simili tra di loro, ed in quanto simili anche perfettamente sostituibili? La diversità è davvero solo un fardello senza alcun valore, un intralcio alla competitività che ci danneggia, in questa nostra continua ricerca di sempre più appagamento materiale?
Gli uomini da sempre sono guidati da un delicato equilibrio tra pulsioni ed ideali, se adesso gli ideali vengono accantonati in nome dell'efficienza e le pulsioni ridotte a meri bisogni da soddisfare usufruendo di una merce o di un servizio, cos'è che ci permetterà di distinguerci dalle macchine che creiamo.
Questo modo di vedere il mondo e l'uomo che lo abita, il desiderio di poter gestire e controllare la società per indirizzarla sulla strada giusta, che questo genere di discorsi lasciano sottointendere, sebbene in buona fede se non bilanciate da forze uguali e contrarie, ci trascineranno in un qualcosa di profondamente demoniaco, un qualcosa che i lettori di Huxley dovrebbero conoscere bene.
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