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giovedì 25 marzo 2021

Resistenza di ieri e di domani

Finita la seconda guerra mondiale, l'Italia in ambito internazionale come facilmente si può intuire, era vista con il fumo negli occhi, se De Gasperi insieme ad altri brillanti diplomatici (quali ad esempio Renato Prunas ), riuscì a farla reinserire in certi circuiti ed a  renderla in grado di acquistare una certa considerazione, al netto  della facile retorica ed una certa mitizzazione,  lo si deve in gran parte alla lotta e sacrificio del movimento partigiano, che contribuì  in maniera preponderante alla lotta di liberazione, riuscendo con i suoi sforzi a sostenere davanti agli occhi del mondo vincitore,  l'immagine di un Italia in ginocchio ma ancora indomita, che grazie anche  alle sue forze riuscì ad affrancarsi dal dominio nazifascista e non come una nazione che aspetto inerme la vittoria delle forze alleate per sapere del suo destino. 

Tutto ciò fu possibile grazie ad una debolezza intrinseca a tutti i regimi passati, cioè al bisogno per alimentare le proprie ambizioni, di cittadini nel senso pieno del termine,  quindi di uomini in armi pronti a difendere ed attaccare, se necessario o richiesto. Cosa che per essere vera oggi come ieri, ha come prerequisito una certa dose di addestramento.

Adesso mi chiedo in un mondo sempre più meccanizato, dove la popolazione non è più indispensabile  per difendere la nazione, ed è anzi, vista quasi con fastidio ( e la sovrappopolazione e solo un aspetto del problema), specialmente se capace di imbracciare le armi, al punto che l'obbligo di leva e stato abolito. Ecco in questo contesto mi chiedo; in che modo in un ipotetico futuro, nel eventualità del insediarsi di un regime tirannico, potrebbe nascere un movimento di resistenza, visto che la popolazione è  inerme e sprovvista non solo delle capacità pratiche,  ma perfino delle conoscenze teoriche in ambito di guerriglia?. 

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