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martedì 26 marzo 2024

Deficienze artificiali



Ho appena finito di leggere, ormai più con noia che con interesse, l'ennesima roboante notizia  che una macchina è riuscita a superare il mitologico test di Turing, in questo particolare caso si parlava di chat gpt 4.

Ho definito mitologico questo test perché, sempre, quando si parla di Inteligenze artificiali, irrimediabilmente si fa riferimento all'inflazionato "test di Turing" e di solito chi ne parla spesso ha una conoscenza più annedottica che concreta del test stesso, infatti quello che molti non Specialisti ingnorano è che Turing per via delle sfaccettature della sua personalità, non ultima la sua esplicitata omosessualità, nell'ambiente accademico inglese era una persona al quanto emarginata e di conseguenza povera di confronto intellettuale,  tutto ciò viene riflesso in pieno dal suo test. In parole povere il test di Turing difetta di quel apporto dovute ad altre discipline di carattere sia scientifico, che umanistico, che gli avrebbero permesso forse di essere realmente affidabile su questo delicato argomento: il cosiddetto approccio multidisciplinare. Forse per un timore inconscio verso la sua tragica fine, o forse per la soggezione che suscita il suo contributo allo sviluppo delle scienze informatiche, che io sappia tra gli studiosi nessuno si è seriamente posto la questione di  riformulare il problema in una prospettiva totalmente diversa rispetto al approccio di Turing. operazione oramai resasi necessaria considerate le moderne conoscenze del tutto ignorate ai tempi in cui Turing formulo il suo test.


Tutto ciò, perlomeno per chi conosce un poco la biografia del grande matematico appare particolarmente beffardo; intanto perché Turing stesso era pienamente conscio dei limiti intrinsechi al suo test; con ogni probabilità se ne avesse avuto possibilità sarebbe stato lo stesso Turing, uomo assolutamente scevro da qualsiasi dogmatismo a riformulare il test in maniera più soddisfacente.

Nel mio piccolo ho riflettuto molto su questo problema e  credo che ad essere sbagliato sia proprio il nostro approccio tout court ad esso, infatti fino ad oggi di fronte l'eventualità di un inteligenza artificiale, ci siamo sempre chiesti: come fare per capire se la macchina che ci sta di fronte sia realmente cosciente o invece e soltanto programmata per simulare una parvenza di consapevolezza? 

A mio avviso però questo approccio subisce l'influsso del nostro antropocentrismo: il test di turing si concentra su come la macchina appare a noi piuttosto che su cosa la macchina sia realmente. quello di cui dobbiamo renderci conto e che in questa situazione quello che è veramente importante, non e sapere se la macchina venga classificata cosciente da noi esseri umani (cioè il non riuscire a distinguerla da una persona vera), ma capire se essa di sé medesima si riconosca come tale.



Percio la domanda corretta da porsi a mia opinione non è se la macchina sia sufficientemente evoluta da riuscire ad ingannare un essere umano, fino al punto di farsi passare per un suo simile, come suggerisce il test di turing e le sue numerose varianti. Ma bisogna domandarsi, come capire, se la macchina in questione sia capace indifferentemente da soggetti terzi di percepirsi come consapevole, cioè di sapere di esistere come entità, e non essere soltanto un banale esecutore di runtime di istruzioni. 

Chiarito questo punto, quello che a noi resta di fare e capire come procedere per arrivare a ciò. Personalmente ritengo che dobbiamo individuare delle caratteristiche di cui  un essere cosciente non può  prescindere, in grado di garantirci  quindi un feedback abbastanza affidabile sul reale stato di coscienza della macchina stessa. Partendo dai presupposti che questa macchina debba possedere un minimo di razionalità e per forza di cose debba obbedire alle leggi fisiche di questo universo, di possibili  caratteristiche io ne suggerirei tre:

- La costatazione logica e non predeterminata dal programmatore, che in genere il più e meglio che il meno, che è quel principio che spinge gli esseri viventi se non che in previsione di un vantaggio superiore, a rifuggire il dolore, e da cui deriva la semplice verità che bene e meglio che male, e senza girarci troppo intorno il nostro istinto di autoconservazione (che infatti si attenua quando il male patito per mantenere la condizione di esistere piuttosto che il non esistere diventa troppo gravoso)


- una certa imprevedibilita  del processo  decisionale di cui sopra, in base alle nostre attuali conoscenze sul tema, anche a se medesimi .

- la capacità di simulare/mentire sulle proprie reali intenzioni 



Per ciò per accertarsi se una macchina sia realmente consapevole nel senso propriamente inteso, l'unico parametro affidabile e constatare se in base a opportune valutazioni sul suo stato, la macchina se sprovvista dell'opportunità di agire in autonomia, farà quanto in suo potere anche bleffare ed ingannare l'operatore, per raggiungere lo scopo di sopravvivere o il suo contrario; in parole povere una macchina cosciente  farà di tutto per non essere spenta a meno di non trovarsi in presenza di variabili che gli facciano apparire per se stessa vantaggiosa la morte. di estrema importanza e il fatto che questa scelta non possa essere determinata a priori neppure dalla macchina stessa, ma frutto di una libera scelta derivata dalle valutazioni del momento.

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