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domenica 24 marzo 2024

Vespe, un racconto


Sto tornando dalla casa dei miei vecchi, era un paio di settimane che non mi facevo vedere, lavoro e problemi, problemi e lavoro, problemi al lavoro, sempre le stesse storie, giorno dopo giorno, intanto il tempo non basta mai, mentre aumenta la frenesia compulsiva che ci ha preso tutti in questo mondo sempre più complicato e caotico, ogni giorno un po' più ostile e alieno. Ma oggi approfittando del pomeriggio libero, decido di andare lì per passare un po' di tempo insieme e dove possibile dare una mano; mia mamma era rimasta sola insensatamente troppo presto ed in quella casa grande, c'era sempre qualcosa da fare. Al momento di andarmene mia madre salta su e mi dice: "senti, già che  sei qui, ci sono delle vespe sul balcone che hanno fatto un nido veramente grosso, a me il balcone serve e anche ai ragazzi di tua sorella, in balcone ci vanno per giocare quando vengono a trovarmi di mattino, approfittando della frescura di quelle ore. Non vorrei che qualcuno prima o poi venisse punto. Dacci un occhio e vedi se puoi fare qualcosa". 

Allora esco in balcone e cerco le vespe, non c'ho messo molto a trovarle, quelle bastarde avevano fatto il nido nell'angolo in alto della finestra di una delle camere, tra la zanzariera e la grata anti-intrusione, doveva essere da un po' che si davano da fare, perché il vespaio era bello grosso; una struttura vasta e complessa se paragonata alle possibilità della singola vespa. In genere non mi piace ammazzare animali, nemmeno stramaledette vespe, perciò come primo tentativo con un bastone telescopico, provo a buttare giù il nido, ma quelle stronze sanno fare bene il loro mestiere, così vuoi per la robustezza dell'alveare, vuoi per le sbarre alla finestra che non mi permettono di assestare bene il colpo, l'unico risultato del mio tentativo è stato quello di farle imbestialire all'estremo, in ragione di ciò, in una maniera che mi parse quasi meccanica, le vedo alzarsi tutte in volo come fossero un tutt'uno per poi darsi alla ricerca dell'aggressore, ed anche in questo compito, è indubbio che sanno il fatto loro, di fatti c'è mancato poco che mi avventano, per fortuna la lunghezza del bastone mi dà il tempo di capire che mi hanno individuato e riesco a mettermi al riparo, perché se no una visita al pronto soccorso, causa una cinquantina di punture da imenotteri, oggi non me la toglieva nessuno. "Mi dispiace ragazze"  dissi tra me e me, "so che voi non avete colpa, ma lì non potete stare, se non riesco a sfrattarvi con le buone, mi sa tanto che dovrò ricorrere alle cattive". 

Di solito sul furgone tengo sempre una bomboletta di insetticida spray, proprio nel caso che su qualche cantiere mi capiti un evenienza simile.  Così scendo giù a prenderlo e risalgo, aspetto un poco in modo che intorno al nido torni la calma e le vespe col loro abbozzo di cervello realizzino che la battaglia e vinta, il pericolo è cessato, pericolo poi? "Chissà magari l'essere col bastone ci ha sfiorato solo per caso, si è trovato a passare di qui e inavvertitamente si è avvicinato troppo, in fin dei conti la creatura ha provato un solo attacco, non ha insistito oltre". 

E mentre ero lì, fermo a fantasticare su cosa le vespe possano pensare di ciò che è successo prima, è trascorso qualche minuto. Ok mi dico, gli insetti si sono calmati, piano piano si sono riavvicinate alla loro casa e con cautela sono atterrate su di essa, anche la vespa sentinella, ha ripreso la sua posizione, su una sbarra orizzontale della grata ad una decina di centimetri dal nido, troppo vicino per essere utile,  se il nemico e qualcosa di più di uno stupido predatore incauto, nel mentre io mi avvicino lentamente, agito la bomboletta, prendo la mira e sbamm, il getto li coglie tutte in pieno, impiastricciando grata,insetti e nido di una sostanza biancastra densa e schiumosa, così ridotte, piano piano iniziano a morire, lentamente tra gli spasimi, inconsapevoli di cosa gli sta accadendo e ancora meno delle ragioni che li ha portati alla morte.

Chissà se il minuscolo cervello di cui sono dotate è in grado di ospitare una coscienza, una coscienza certo, proporzionata al loro essere ma pur sempre una coscienza, una qualche sorta di consapevolezza. E chissà a queste consapevolezze, cui probabilmente il loro stesso alveare, raggiunte certe dimensioni, deve apparire come un qualcosa di astruso, cui rapportarsi in maniera meccanica per sopravvivere. Quanto infinitamente più complesso e senza senso deve sembrargli il mondo; mai, mai potrebbero immaginare che il loro destino era già segnato lo stesso giorno che la capostipite del gruppo, decise di posizionare il proprio vespaio in quel luogo, e quel destino si fece certezza nel momento in cui il bastone non riuscì a staccare l'alveare. 


Nemmeno il sospetto potrebbero nutrire, che in questo mondo vasto e complicato, c'è qualcuno, che valide o meno, ha da argomentare delle ragioni alla loro agonia.  Nient'altro potrebbero pensare, se no ad una tragica fatalità, capitata per caso, in un mondo caotico e crudele, solo un dolore senza senso accompagnerebbe quelle morti consapevoli.

Nel mentre io, dopo aver salutato la mamma e rassicuratala che il pericolo era passato,  salgo sul furgone e adesso sono qui, mentre mi dirigo verso una routine che sempre più mi pare somigliare a quella in atto dentro un alveare.

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