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giovedì 21 gennaio 2010

Travaglio e i testimoni di geova

come avevo detto nel post precedente voglio tornare ad occuparmi di Travaglio. Vedete, per me Travaglio sta al giornalismo come i testimoni di geova stanno alla religione, senza offesa per i testimoni di Geova. Proviamo a fare un confronto:

il testimone di geova:
Vi si presenta in casa come persona integerrima e ha la presunzione di volervi far capire la verita, che voi troppo rincoglioniti dal mondo moderno avete dimenticato.
travaglio:
vi sbuca fuori dalla tv come persona onesta e si auto affibia come custode della verita, che voi rincoglioniti dalla televisioni del grande “satan B” avete dimenticato

il testimone di geova:
inizia subito dicendovi che anche lui una volta era ateo, buddista, cattolico, però il mondo andava male, che viviamo in un posto schifoso e cosi non si puo andare avanti ma poi vi blocca, lui a la soluzione; convertirsi.
travaglio:
inizia subito dicendo di essere di destra, anzi un montanelliano, quindi della bella destra, però il mondo è cambiato e Berlusconi ha rovinato tutto. Così non si puo andare avanti, pero lui ha la soluzione; convertirsi (a Di Pietro).


il testimone di geova:
parlando di religione dice che si vuol basare su elementi in comune tra le due religioni e riconosciute da entrambe le parti; la bibbia (nel caso del cattolico).
travaglio:
parlando di giustizia dice che si vuol basare su elementi incontestabili e riconosciuti da entrambe le parti; le sentenze dei processi.


il testimone di geova:
facendolo per “mestiere” si è preparato prima e ha già estrappolato dalla bibbia i versetti che gli servono; voi trovandovi lì per caso non siete pronti per questa discussione intereligiosa quindi, non sapete quali versetti citare o non riuscite a rimettere nel contesto originario i versetti da lui citati; quindi vi straccia su tutta la linea, nel caso siate abili e riuscite magari a tirare in ballo qualche ricordo di religione dai tempi delle scuole, dando una differente interpretazione del versetto lui vi dira che si basa solo su quello che e scritto nella bibbia, nero su bianco. Il resto non fa testo, ora a meno di non essere un biblista e difficile senza citare qualche studioso dare un interpretazione ad un versetto bibblico, per di più estrappolato dal contesto, senza citare nessun libro e su 3000 pagine andare cosi in dieci minuti a cercare la filogenesi del discorso non e roba da tutti (daltronte la loro interpretazione e fornita dalla torre di guardia, mica ci sono arrivati da soli, però non lo dicono).
travaglio:
facendolo per MESTIERE ha pianificato l'accusa con tutta calma ed ha estrappolato dalle sentenze le frasi che gli servono. Il politico trovandosi li per un dibattito televisivo non è pronto per questo “processo in diretta” quindi non riesce a produrre una difesa valida; nel caso sia fortunato ed ha ben chiara la sentenza ribattera ma almeno di non essere un avvocato e saper a memoria la sentenza difficilmente riuscira a dare delle vere controprove; daltronde Travaglio pretenderà qualcosa di scritto nero su bianco e nei dieci minuti dello spazio televisivo rilegersi una sentenza di centinaia di pagine non e roba da tutti.


ma le analogie non si fermano qui:
testimone di geova:
nel caso siete stati cosi bravi da smontare il suo bel discorso ritornerà a parlare di come e brutto il mondo; si che forse un po di ragione c'e l' avete ma nonostante ciò la bibbia dice anche... e ricominciamo da capo
travaglio:
se il politico è stato cosi bravo (penso che ci siano riusciti in pochi) da smontare la sua accusa lui comincerà a dire, che si qui la sentenza non è cosi chiara, però il conflitto di interessi, le tangenti, l'editto bulgaro e poi c'è quest' altra sentenza che dice chiaramente che... ricominciamo da capo



Il metodo Travaglio (cosi come quello del testimone di geova non e di confrondo religioso ) non è quello giornalistico è quello del venditore (ed essendo un commerciante lo conosco bene) per questo piace. Lui non sta dandovi delle notizie, ve le sta vendendo (il prezzo che pagate è la vostra fiducia al personaggio) e delle notizie mostra solo i lati che gli interessano e che ha studiato bene; si presenta a voi non come un giornalista ma come un cittadino, uno di voi, indignato quanto voi ma con la memoria lunga e con delle ottime credenziali, lui era un discepolo di montanelli (un pò come quando il commerciante esalta il marchio per dimostrare la qualita di un prodotto), il venditore si prepara prima di vendere un prodotto, lo fà di mestiere, ed è pronto a demolire tutte le vostre obiezioni, perchè lo fa per lavoro. IL MESTIERE DEL VENDITORE E' QUELLO DI DIMOSTRARVI CHE IL DATO PRODOTTO E' NECESSARIO PER SODDISFARE IL VOSTRO BISOGNO e visto che lo fà per mestiere ha gia le risposte pronte a tutti i vostri dubbi perchè prima di voi glieli hanno posti in altri cento, mentre l'aquirente che probabilmente di mestiere fa qualcosaltro si trova disarmato; lui è entrato solo per decidere se comprare o meno non si aspettava che da questa decisione nascessero tutti i vantaggie che il commerciante gli mostra; cosi come il politico davanti a travaglio che durante il processo avra già pronto tutto il testo dell' accusa con nomi e date precise (omettendo quelle che potrebbero indebbolirlo) non si aspettava di dover affrontare un processo simile e POTRA AFFIDARSI SOLO SULLA SUA MEMORIA E A MENO DI NON AVER UN DISCO FISSO IN TESTA AVRA DELLE LACUNE DELLE INCERTEZZE SU QUALCHE DATA O LUOGO CHE LO DIPINGERANNO COLPEVOLE DAVANDI AI TELESPETTATORI che coglieranno la preparazione di travaglio e i dubbi del politico nel rispondere. MENTRE IL POLITICO PASSERA I PROSSIMI GIORNI A SMONTARE QUESTO PEZZO DI ACCUSA, TRAVAGLIO LI IMPIEGHERA' A PRODURNE ALTRE E SARA SEMPRE IN VANTAGGIO. Per questo in un vero processo, in uno stato di diritto il giudicato è innocente fino a PROVA contraria, perchè l'accusa sarà sempre in vantaggio sulla difesa e in un processo equo (e non come in quelli di travaglio) deve essere la legge a tutelare la difesa e metterla in condizioni pari. In un processo VERO è l'accusa a dover dimostrare la colpevolezza dell' imputato non la difesa a dimostrare la sua innocenza. Quindi per questo e per una serie di altre ragioni travaglio dovrebbe solo stare zitto; tra l' altro se uno si mettesse a ribattere seriamente alle sue farneticazioni, si troverebbero tutti gli errori. Gli stracci di processi che lui cita, magari nel loro giusto contesto cambiano di significato. Come nel caso craxi che per il nostro eroe era al governo con un anno di anticipo; ma e meglio chiudere qui.



UPDATE 2022 
Scrissi questo pezzo in piena età berlusconiana ed ammetto che allora Travaglio mi sembrava solo uno dei tanti che sbarcavano il lunario con l'antiberlusconismo, stile il partito che appoggiava e che con gli anni si è rivelato per quel che era sciogliendosi come neve al sole. Passato quel periodo nonostante molte mie idee restano in contrasto con quelle del sogetto in questione, è sui medodi ho già scritto; devo riconoscergli però una certa coerenza nonché onesta intellettuale ed un etica professionale che più passano gli anni più si fa merce rara nel suo settore, alla fine si è rivelato molto meglio di tanti suoi colleghi.

martedì 19 gennaio 2010

Parliamo di “crazzi” (vostri)

Craxi era un ladro, poco da dire. E' innegabile, come è innegabile che l'andazzo in quegli anni era quello, è stupido pensare che eliminato craxi il problama è risolto. Craxi è stato il capro espiatorio di un periodo di corruzione che anche se in maniera più sottile continua ancora oggi. Mani pulite ha solo cambiato gli attori del palcoscenico ma il cannovaccio è sempre lo stesso; perchè allora tutto questo odio verso il Bettino?? Secondo me la risposta è una sola; PERCHE CRAXI STAVA ATTUANDO UNA POLITICA ESTERA DI INTERESSE NAZIONALE CHE SI SCONTRAVA INEVITABILMENTE CON GLI INTERESSI ANGLOAMERICANI. In conclusione craxi e stato senza dubbio un ladro ma anche un grande statista e se è giusto criticare e condannare questo lato non si possono cancellare i meriti politici e Craxi, che piacia o no, e stato uno dei migliori uomini politici che la repubblica abbia avuto (forse il migliore dopo il tridente Einaudi/DeGasperi/MATTEI) detto questo il discorso è chiuso secondo me, però leggo il solito Travaglio che ha voluto dire la sua e come al solito da fedele montanelliano è golosissimo di gelato al gusto “culo anglofono” ed eccolo che si ci ricorda che craxi era un ladro, cosa verissima e innegabile, ma tenta anche di sminuirne il valore politico e questo non mi sta bene; quindi proviamo a rispondergli punto per punto:

punto 1
secondo Travaglio, Craxi compro i voti per il partito socialista con i soldi di Gelli, cioe dalla p2. A parte che lui deduce tutto questo da un' intervista che come lui stesso afferma e stata fatta a un personaggio (Cicchitto) ostile a Craxi, senza uno straccio di prove vere e tangibili, quindi solo aria fritta tutta da dimostrare, ma non dimentichiamoci che il Pc i soldi li prendeva dalla Russia e la dc da altre fonti (America, Vaticano ecc) quindi come finanziamenti illeciti e poco puliti i maggiori dell' epoca non brillavano proprio. Craxi è stato solo al gioco che tutti facevano, in un mare di pescicane o mangi o vieni mangiato.

Punto 2
qui si parla un po' di politica economica ed interna e il nostro prode inizia a elencare i meriti del Bettino, ma per ogni merito continua a ricordarci che è un tangentista e che comunque è un ladro, è già, cosi non si fa caro Travaglio.. poi parla di debito, che con craxi é aumentato vertiginosamente, cosa verissima però se uno stato si indebita non è necessariamente un male in una visione più generale; se io abito in una casa in affitto e ho cinquantamila euro in banca sono sicuramente messo bene economicamente, se adesso mi faccio un mutuo diciamo di cinquanta mila avendone cosi cento disponibili e mi conmpro una casa è si vero che adesso ho un debito di cinquanta mila euro con la banca ma in una visione di più ampio respiro ho aquistato un capitale immobile che una volta ripagato il mio debito mi porterà (a meno di calcoli sbagliati) ad essere economicamente Più FORTE DI PRIMA e nel periodo di craxi L'Italia avanzò dal tredicesimo posto sino al quinto tra i paesi a pil più alto del mondo; quindi una politica sul debito non è necessariamente una cosa cattiva a priori, è solo una scelta politica che può dare i suoi frutti. Per quanto riguarda il suo ministro ciampi (minuscolo voluto) e la sua politica di risanamento, caro Travaglio, lo svendere le aziente nazionali, dovrebbe essere accusato di alto tradimento, altro che (sulla politica di ciampi, prodi e conpagnia bella è meglio non parlare il più grande male che l'italia abbia dovuto affrontare)

punto 3

qui si parla di partecipazioni statali e dopo una leccatina anche al “gelato prodi” passiamo al gusto De Benedetti, visto che è il proprio editore, meglio leccare anche lì; e qui si accusa Craxi di aver bloccato la saggia scelta di Prodi di vendere la sme a De Benedetti. Considerando la fine che con De Benedetti hanno fatto in ordine Olivetti ( dopo la ibm, seconda ditta al mondo per produzione pc), Banco Abrosiano, Telecom ecc. Craxi meriterebbe un monumento solo per questo, ma lasciamo stare (tra laltro mi domando lei signor Travaglio non si vergogna a parlare bene di un prescritto per tangenti come De Benedetti ???), chiusa la parentesi sme travaglio si mette a parlare di televisioni e dove ce la tv c'è Berlusconi; ecco a ricordarci che Craxi ha salvato berlusconi (sarà questo forse il peccato che non gli si riesce a perdonare?) poi inizia a straparlare di droghe, presidenzialismo e un mare di stronzate, sparate così e messe lì solo per riempire la testa senza una logica particolare con tanti nomi e le solite cazzate alla Travaglio; non vale la pena di ribattere.


punto 4
politica estera
il motivo per cui ho fatto questo post è anche il motivo per cui dico che a Travaglio piace lo stesso gusto di gelato che a montanelli; senza offesa a montanelli che qualche merito c'è là. Prima di tutto ci ricorda che Craxi fece entrare con la pistola in parlamento Yasser Arafat, che forse il signor Travaglio non ricorda ma oltre ad essere un terrorista come dice lui è anche premio nobel per la pace, e per la sua politica verso i palestinesi (dettata naturalmente da interesse )Craxi ha dato all'Italia L'ONORE di essere uno dei primi stati occidentali ad interessarsi della questione palestinese. Poi parla di come L'italia di Craxi si sia alleata con i cattivi argentini nella guerra delle Falkland e non con la buona democrazia inglese. A parte che l'Italia non si schiero con un cazzo di niente, semplicemente resto neutrale e non aderi alle sanzioni contro l'Argentina, per il semplice fatto che quel paese è pieno di immigrati italiani e un eventuale embargo avrebbe avuto delle ripercussioni serissime. Ma la cosa più bella e che nel '82 non c'era nessun governo Craxi (che salira al potere nel 1983) quindi l'appogio di Craxi fu solo morale e PERSONALE ma Travaglio è bravo a cambiare la storia come gli fà comodo, tanto quegli imbecilli dei suoi lettori prendono tutto per oro colato “Ipse dixit ” direbbe qualcuno. Ma facciamo finta di niente, anzi facciamo come lui, dimentichiamoci cosa dice la storia e diciamo cose a casaccio, ad esempio a guardare la posizione delle isole così a prima occhiata quella inglese mi sembra una guerra coloniale contro l'Argentina o mi sbaglio? L'Argentina stava tentando di riprendersi un pezzo di terra che gli appartiene o no? Però la verita è che nonostante certi stronzi credono il contrario, con le buone intenzioni non si magna e dal capo di stato Italiano io mi aspetto una politica estera mirata al benessere e alla prosperita della nazione italiana non di certo della giustizia nel mondo. In una guerra non ti allei con i buoni, ti allei con chi ti puo dare più vantaggi; il resto sono stronzate da pacifisti parassiti e frikkettoni. Poi il post torna a parlare di Arafat (con tutti sti cambi di discorso si fa fatica a seguirlo, sara intenzionale la cosa?) e dell' Achille Lauro e di come il malvaggio Craxi aiuto i terroristi (e anche qui il povero Travaglio dimentica che la ragion di stato viene prima di un astratto concetto “bene o male buono o cattivo” se la cosa ti da fastidio non fai il politico; cambi mestiere) poi dopo un salto sulla guerra in Iraq Travaglio torna alla politica interna e ci butta dentro il sequestro moro, anche qui contesta delle scelte politiche che col senno di poi si sono rivelete sbagliate (ma con il senno di poi non si fa politica si fanno chiacchiere da bar come questa caro travaglio) e infine parla del caso Cavallari e di come ci avesse visto giusto ad accusare Craxi; peccato che in magistratura e nel giornalismo NON CI DEVI VEDERE GIUSTO, DEVI AVERE LE PROVE PERCHE' IN UNO STATO DI DIRITTO SOLO LE PROVE HANNO VALORE, IL RESTO E DIFFAMAZIONE.

quindi per finire tutto sto discorso non vale una sega, Craxi resta indubbiamente un corruttore ma cio non toglie che è stato nel bene o nel male uno dei migliori politici Italiani e l'aria fritta di Travaglio e buona solo per quegli inbecilli del blog di Grillo e per uno spunto per il mio prossimo post.

giovedì 14 gennaio 2010

gli Ebrei e PioXII

Ogni due o tre è la stessa storia, ogni volta che il vaticano si accinge a portare sugli altari Pio XII, la comunita ebrea pone diritto di veto.
A parte che non capisco cosa diavolo centrano loro con gli affare interni della chiesa, e che nessuno (in questi tempi moderni almeno) si è mai permesso di impicciarsi delle loro questioni religiose, non capisco perche questo accanimento esagerato per questa figura storica, a cui da appasionato conoscitore di storia non riesco ad attribuire le colpe presute che (solo di recente) gli si affibiano, specialmente se confrontati con quelli di altri personaggi storici di quel periodo. Poi pero mi viene in mente un nome; EUGENIO ZOLLI, sarà mica che più che i silenzi del povero Pio XII a pesare alla comunita ebraica sia l'ammirazione e la riconoscenza che Zolli provava per il pontefice la vera causa di tutto questo odio?? Penso che sia l'unica spiegazione razionale a meno che non vogliamo dar retta a certe voci complottiste.....

martedì 12 gennaio 2010

ROSARNO, MERIDIONALI, ECC.

ULTIMAMENTE I GIORNALI SONO TUTTI INDAFFARATI A PARLARCI “DEI FATTI DI ROSARNO” E COME OGNI COSA DI POCO BELLA CHE AVVIENE AL SUD, SI TIRA IN BALLO LA “MAFIA” QUESTO GIGANTESCO SPAURACCHIO CHE E LA CAUSA DI TUTTI I MALI DEL PAESE ADESSO VI SVELO UN SEGRETO LA MAFIA NON ESISTE. O MEGLIO NON E QUELLA SUPER ORGANIZAZIONE TIPO SPECTRE DI 007 CHE TUTTO VEDE E TUTTO PUO, IN REALTA LA MAFIA E SEMPLICEMENTE IL LATO VIOLENTO DELLA MENTALITA MERIDIONALE ED ECCO SPIEGATO PERCHE IN ALTRI REGIONI NON RIESCE A PENETRARE IL PROBLEMA DEL SUD NON E LA MAFIA MA SONO I MERIDIONALI E LA MENTALITA MERIDIONALE IN SE E PER CAPIRLO NON SERVONO STUDI DI SOCIOLOGIA BASTAVA LEGGERE UN LIBRO DOVE C'è TUTTO SPIEGATO PER FILO E PER SEGNO UN LIBRICINO DI POCHE PAGINE MA BEN SCRITTO DI GRANDE LETTERATURA , DOVE C'E IL RITRATTO Più COMPLETO E LUCIDO DELLA MENTALITA MERIDIONALE NON A CASO E STATO SCRITTO DA UN MERIDIONALE ECCELENTE IL TITOLO DEL LIBRO E “IL GATTOPARDO” NON DOVETE NEMMENO LEGGERLO TUTTO SE NON VI VA. IL SUCCO SI RACCHIUDE IN POCHE PAGINETTE CHE VI QUOTO PER COMODITA:


Appena seduto Chevalley espose la missione della quale era stato incaricato: "Dopo la felice annessione, volevo dire dopo la fausta unione della Sicilia al Regno di Sardegna, è intenzione del governo di Torino di procedere alla nomina a Senatori del Regno alcuni illustri siciliani; le autorità provinciali sono state incaricate di redigere una lista di personalità da proporre all'esame del governo centrale ed eventualmente, poi, alla nomina regia e, come è ovvio, a Girgenti si è subito pensato al suo nome, Principe: un nome illustre per antichità, per il prestigio personale di chi lo porta, per i meriti scientifici, per l'attitudine dignitosa e liberale, anche, assunta durante i recenti avvenimenti." Il discorsetto era stato preparato da tempo, anzi era stato oggetto di succinte note a matita sul calepino che adesso riposava nella tasca posteriore dei pantaloni di Chevalley. Don Fabrizio però non dava segno di vita, le palpebre pesanti lasciavano appena intravedere lo sguardo. Immobile la zampaccia dai peli biondastri ricopriva interamente una cupola di S. Pietro in alabastro che stava sul tavolo.
Ormai avvezzo alla sornioneria dei loquaci siciliani quando si propone loro qualcosa, Chevalley non si lasciò smonta-re: "Prima di far pervenire la lista a Torino i miei superiori hanno creduto dover informare lei stesso, e farle chiedere se questa proposta sarebbe di Suo gradimento.Richiedere il suo assenso, nel quale le autorità sperano molto è stato l'oggetto della mia missione qui, missione che per altro mi ha valso l'onore e il piacere di conoscere Lei ed i suoi, questo magnifico palazzo e questa Donnafugata tanto pittoresca."
Le lusinghe scivolavano via dalla personalità del Principe come l'acqua dalle foglie delle ninfee: questo è uno dei vantaggi dei quali godono gli uomini che sono allo stesso tempo orgogliosi ed abituati ad esserlo. "Adesso questo qui s'immagina di venire a farmi un grande onore" pensava "a me, che sono quel che sono, fra l'altro anche Pari del Regno di Sicilia, il che dev'essere press'a poco come essere senatore. È vero che i doni bisogna valutarli in relazione a chi li offre: un contadino che mi dà il suo pezzo di pecorino mi fa un regalo più grande di Giulio Làscari quando m'invita a pranzo. Il guaio è che il pecorino mi dà la nausea; e così non resta che la gratitudine che non si vede e il naso arricciato dal disgusto che si vede fin troppo." Le idee sue in fatto di Senato erano del resto vaghissime; malgrado ogni suo sforzo esse lo riconducevano sempre al Senato Romano al senatore Papirio che aveva spezzato una bacchetta sulla testa di un Gallo maleducato, a un cavallo Incitatus che Caligola aveva fatto senatore, onore questo che soltanto suo figlio Paolo non avrebbe trovato eccessivo; lo infastidiva anche il riaffacciarsi insistente di una frase detta talvolta da Padre Pirrone: "Senatores boni viri, senatus autem mala bestia." Adesso vi era anche il Senato dell'Impero di Parigi, ma non era che una assemblea di profittatori muniti di larghe prebende. Vi era o vi era stato un Senato anche a Palermo ma si era trattato soltanto di un comitato di amministratori civici, e di quali amministratori! Robetta per un Salina. Volle sincerarsi: "Ma insomma, cavaliere, mi spieghi un po' che cosa è veramente essere senatori. La stampa della passata monarchia non lasciava passare notizie sul sistema costituzionale degli altri stati italiani, e un soggiorno di una settimana a Torino due anni fa non è stato sufficiente a illuminarmi. Cosa è? un semplice appel-lativo onorifico, una specie di decorazione? o bisogna svolgere funzioni legislative, deliberative?"
Il Piemontese, il rappresentante del solo stato liberale italiano, s'inalberò: "Ma, Principe, il Senato è la Camera Alta del Regno! In essa il fiore degli uomini politici del nostro paese prescelti dalla saggezza del Sovrano, esaminano, discutono, approvano o respingono quelle leggi che il Governo o essi stessi propongono per il progresso del paese; esso funziona nello stesso tempo da sprone e da briglia, incita al ben fare, impedisce di strafare. Quando avrà accettato di prendervi posto, Lei rappresenterà la Sicilia alla pari dei deputati eletti, farà udire la voce di questa bellissima terra che si affaccia adesso al panorama del mondo moderno, con tante piaghe da sanare, con tanti giusti desideri da esaudire."
Chevalley avrebbe forse continuato a lungo su questo tono se Bendicò non avesse da dietro la porta chiesto alla "saggezza del Sovrano" di essere ammesso; Don Fabrizio fece l'atto di alzarsi per aprire ma lo fece con tanta mollezza da dar tempo al Piemontese di lasciarlo entrare lui; Bendicò, meticoloso, fiutò a lungo i calzoni di Chevalley; dopo, persuaso di aver da fare con un buon uomo si accovacciò sotto la finestra e dormì.
"Stia a sentirmi, Chevalley; se si fosse trattato di un segno di onore, di un semplice titolo da scrivere sulla carta da visita e basta, sarei stato lieto di accettare; trovo che in questo momento decisivo per il futuro dello stato italiano è dovere di ognuno dare la propria adesione, evitare l'impressione di screzi dinanzi a quegli stati esteri che ci guardano con un timore o con una speranza che si riveleranno ingiustificati ma che per ora esistono."
"Ma allora, principe, perché non accettare?"
"Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi Siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai viceré spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto 'adesionè non 'partecipazionè. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene; il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'farè. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso."
Adesso Chevalley era turbato. "Ma ad ogni modo questo adesso è finito; adesso la Sicilia non è più terra di conquista ma libera parte di un libero stato".
"L'intenzione è buona, Chevalley, ma tardiva; del resto le ho già detto che in massima parte è colpa nostra; Lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno; per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella alla Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla, che s'impipa di tutto, delle acciaierie di Sheffield come delle filande di Manchester, e che agogna soltanto di ritrovare il proprio dormiveglia fra i suoi cuscini sbavati e il suo orinale sotto il letto."
Parlava ancora piano, ma la mano attorno a S. Pietro si stringeva; l'indomani la crocetta minuscola che sormontava la cupola venne trovata spezzata. "Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagagliaio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto."
Non ogni cosa era compresa dal buon Chevalley; soprattutto gli riusciva oscura l'ultima frase: aveva visto i carretti variopinti trainati dai cavalli impennacchiati e denutriti, aveva sentito parlare del teatro di burattini eroici, ma anche lui credeva che fossero vecchie tradizioni autentiche. Disse: "Ma non le sembra di esagerare un po', principe? io stesso ho conosciuto a Torino dei Siciliani emigrati, Crispi per nominarne uno, che mi son sembrati tutt'altro che dei dormiglioni."
Il Principe si seccò: "Siamo troppi perché non vi siano delle eccezioni; ai nostri semi-desti, del resto avevo di già accennato. In quanto a questo giovane Crispi, non io certamente, ma Lei potrà forse vedere se da vecchio non ricadrà nel nostro voluttuoso vaneggiare: lo fanno tutti. D'altronde vedo che mi sono spiegato male: ho detto i Siciliani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c'infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti, Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo; Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le pioggie, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d'arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo."
L'inferno ideologico evocato in quello studiolo sgomentò Chevalley più della rassegna sanguinosa della mattina. Volle dire qualche cosa, ma Don Fabrizio era troppo eccitato adesso per ascoltarlo.
"Non nego che alcuni Siciliani trasportati fuori dell'isola possano riuscire a smagarsi: bisogna però farli partire quando sono molto, molto giovani: a vent'anni è già tardi; la crosta è già fatta, dopo: rimarranno convinti che il loro è un paese come tutti gli altri, scelleratamente calunniato; che la normalità civilizzata è qui, la stramberia fuori. Ma mi scusi, Chevalley, mi son lasciato trascinare e la ho probabilmente infastidito. Lei non è venuto sin qui per udire Ezechiele deprecare le sventure d'Israele. Ritorniamo al nostro vero argomento.
Sono molto riconoscente al governo di aver pensato a me per il Senato e la prego di esprimere a chi di dovere questa mia sincera gratitudine; ma non posso accettare. Sono un rappresentante della vecchia classe, inevitabilmente compromesso col regime borbonico, e ad esso legato dai vincoli della decenza in mancanza di quelli dell'affetto. Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d'illusioni; e che cosa se ne farebbe il Senato di me, di un legislatore inesperto cui manca la facoltà d'ingannare sé stesso, questo requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri? Noi della nostra generazione dobbiamo ritirarci in un cantuccio e stare a guardare i capitomboli e le capriole dei giovani attorno a quest'ornatissimo catafalco. Voi adesso avete bisogno di giovani, di giovani svelti, con la mente aperta al 'comè più che al 'perché' e che siano abili a mascherare, a contemperare volevo dire, il loro preciso interesse particolare con le vaghe idealità politiche." Tacque, lasciò in pace San Pietro. Continuò: "Posso dare a Lei un consiglio da trasmettere ai suoi superiori?"
"Va da sé, principe; esso sarà certo ascoltato con ogni considerazione; ma voglio ancora sperare che invece di un consiglio vorrà darci un assenso."
"C'è un nome che io vorrei suggerire per il Senato: quello di Calogero Sedàra; egli ha più meriti di me per sedervi; il casato, mi è stato detto, è antico o finirà con esserlo; più che quel che Lei chiama il prestigio egli ha il potere; in mancanza dei meriti scientifici ne ha di pratici, eccezionali; la sua attitudine durante la crisi del Maggio scorso più che ineccepibile è stata utilissima; illusioni non credo che ne abbia più di me, ma è abbastanza svelto per sapere crearsele quando occorra. È l'individuo che fa per voi. Ma dovete far presto, perché ho inteso dire che vuol porre la propria candidatura alla camera dei deputati." Di Sedàra si era molto parlato in Prefettura, le attività di lui quale sindaco e quale privato erano note; Chevalley sussultò: era un onest'uomo e la propria stima delle camere legislative era pari alla purità delle proprie intenzioni; per questo credette opportuno non fiatare, e fece bene a non compromettersi perché, infatti, dieci anni più tardi, l'ottimo don Calogero doveva ottenere il laticlavio. Benché onesto, però, Chevalley non era stupido; mancava sì di quella prontezza di spirito che in Sicilia usurpa il nome di intelligenza, ma si rendeva conto delle cose con lenta solidità, e poi non aveva l'impenetrabilità meridionale agli affanni altrui. Comprese l'amarezza e lo sconforto di Don Fabrizio, rivide in un attimo lo spettacolo di miseria, di abiezione, di nera indifferenza del quale per un mese era stato testimonio; nelle ore passate aveva invidiato l'opulenza, la signorilità dei Salina, adesso ricordava con tenerezza la propria vignicciuola, il suo Monterzuolo vicino a Casale, brutto, mediocre, ma sereno e vivente; ebbe pietà tanto del principe senza speranze come dei bimbi scalzi, delle donne malariche, delle non innocenti vittime i cui elenchi giungevano così spesso al suo ufficio; tutti eguali, in fondo, compagni di sventura segregati nel medesimo pozzo.
Volle fare un ultimo sforzo: si alzò e l'emozione conferiva pathos alla sua voce: "Principe, ma è proprio sul serio che lei si rifiuta di fare il possibile per alleviare, per tentare di rimediare allo stato di povertà materiale, di cieca miseria morale nelle quali giace questo che è il suo stesso popolo? Il clima si vince, il ricordo dei cattivi governi si cancella, i Siciliani vorranno migliorare; se gli uomini onesti si ritirano, la strada rimarrà libera alla gente senza scrupoli e senza prospettive, ai Sedàra; e tutto sarà di nuovo come prima, per altri secoli. Ascolti la sua coscienza, principe, e non le orgogliose verità che ha detto. Collabori."
Don Fabrizio gli sorrideva, lo prese per la mano, lo fece sedere vicino a lui sul divano: "Lei è un gentiluomo, Chevalley, e stimo una fortuna averlo conosciuto; Lei ha ragione in tutto; si è sbagliato soltanto quando ha detto: 'i Siciliani vorranno migliorare.' Le racconterò un aneddoto personale. Due o tre giorni prima che Garibaldi entrasse a Palermo mi furono presentati alcuni ufficiali di marina inglesi, in servizio su quelle navi che stavano in rada per rendersi conto degli avvenimenti. Essi avevano appreso, non so come, che io posseggo una casa alla Marina, di fronte al mare, con sul tetto una terrazza dalla quale si scorge la cerchia dei monti intorno alla città; mi chiesero di visitare la casa, di venire a guardare quel panorama nel quale si diceva che i Garibaldini si aggiravano e del quale, dalle loro navi non si erano fatti una idea chiara. Vennero a casa, li accompagnai lassù in cima; erano dei giovanottoni ingenui malgrado i loro scopettoni rossastri. Rimasero estasiati dal panorama, della irruenza della luce; confessarono però che erano stati pietrificati osservando lo squallore, la vetustà, il sudiciume delle strade di accesso. Non spiegai loro che una cosa era derivata dall'altra, come ho tentato di fare a lei. Uno di loro, poi, mi chiese che cosa veramente venissero a fare, qui in Sicilia, quei volontari italiani. 'They are coming to teach us good manners' risposi 'but wont succeed, because we are gods.' 'Vengono per insegnarci le buone creanze ma non lo potranno fare, perché noi siamo dèi.' Credo che non comprendessero, ma risero e se ne andarono. Così rispondo anche a Lei; caro Chevalley: i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una decina di popoli differenti essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi. Crede davvero Lei, Chevalley, di essere il primo a sperare di incanalare la Sicilia nel flusso della storia universale? Chissà quanti imani mussulmani, quanti cavalieri di re Ruggero, quanti scribi degli Svevi, quanti baroni angioini, quanti legisti del Cattolico hanno concepito la stessa bella follia; e quanti viceré spagnoli, quanti funzionari riformatori di Carlo III; e chi sa più chi siano stati? La Sicilia ha voluto dormire, a dispetto delle loro invocazioni; perché avrebbe dovuto ascoltarli se è ricca, se è saggia, se è onesta, se è da tutti ammirata e invidiata, se è perfetta, in una parola?
"Adesso anche da noi si va dicendo in ossequio a quanto hanno scritto Proudhon e un ebreuccio tedesco del quale non ricordo il nome, che la colpa del cattivo stato delle cose, qui ed altrove, è il feudalesimo; mia cioè, per così dire. Sarà. Ma il feudalesimo c'è stato dappertutto, le invasioni straniere pure. Non credo che i suoi antenati, Chevalley, o gli squires inglesi o i signori francesi governassero meglio dei Salina. I risultati intanto sono diversi. La ragione della diversità deve ritrovarsi in quel senso di superiorità che barbaglia in ogni occhio siciliano, che noi stessi chiamiamo fierezza, che in realtà è cecità. Per ora, per molto tempo, non c'è niente da fare. Compiango; ma, in via politica, non posso porgere un dito. Me lo morderebbero. Questi sono discorsi che non si possono fare ai Siciliani; ed io stesso, del resto, se queste cose le avesse dette lei, me ne sarei avuto a male.
"È tardi. Chevalley: dobbiamo andare a vestirci per il pranzo. Debbo recitare per qualche ora la parte di un uomo civile.*

*©Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano 1978

NON CREDO CI SIA BISOGNO DI AGGIUNGERE ALTRO

venerdì 1 gennaio 2010

buon anno

buon anno a tutti in questo periodo sono un pò preso con la vita reale a presto