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mercoledì 9 aprile 2025

Complotti e Cottarelli




Dato che siamo in periodo di quaresima, come penitenza sto leggendo un libro di Carlo Cottarelli, il classico personaggio che, fornito di un martello, pensa che il mondo sia fatto di chiodi. Nello specifico sto leggendo, Pachidermi e pappagalli, un testo dove il nostro si propone di smontare alcune delle più frequenti bufale sul mondo dell'economia.

Confesso che, in generale, ho trovato il testo una lettura piacevole, capace di trasmettere nozioni interessanti. Ho apprezzato soprattutto il fatto che, l'autore con una certa onestà intellettuale nei capitoli finali riconosca che quello che lui chiama "establishment", è stato troppo ottimista nel propagandare certe idee. Ma se l'obiettivo era sfatare certi miti, a mio giudizio, è riuscito solo in parte nel suo intento, ad esempio il libro parte col criticare il luogo comune che l'euro ha causato un raddoppio dei prezzi. L'autore dati alla mano dimostra che in realtà,  l'aumento dei prezzi si attestava tra il due e il cinque per cento. Peccato che Cottarelli non affronti l'elemento simbolico e sociale di questa percezione, perciò evita di parlare di come, quell'incolpare l'euro di aver impoverito il paese, quell'accusarlo di aver fatto raddoppiare i prezzi, nel concreto, non andrebbe preso (solo) alla lettera, ma a simboleggiare tutte le difficoltà che i cittadini comuni hanno dovuto affrontare per intraprendere il nuovo corso economico che l'Europa ha voluto imporre; la stagnazione dei salari, i governi tecnici, tutti quei "ce lo chiede l'Europa" che gli italiani hanno dovuto sopportare, per non parlare delle promesse eclatanti  mai mantenute, come la famosa "con l'euro lavoreremo un giorno in meno e guadagneremo come se lavorassimo un giorno in più" di prodiana memoria. Senza toccare questi punti, il dimostrare dati alla mano che l'euro di per sé non ha fatto raddoppiare i prezzi mi pare poco significativo.


Ancora meno mi ha convinto, la sua argomentazione, in un'altra sezione del libro, dove si vuole dimostrare che la Francia, al contrario di quanto affermavano i pentastellati ai tempi delle "belle speranze" della coalizione giallo-verde (il libro è di quel periodo), nel sostenere il franco africano quasi quasi, ci rimette. Pensa te sti francesi! Sembrano tanto delle merdine, invece hanno un cuore d'oro, quanti sforzi si accollano per aiutare gli africani, forse vorranno redimersi dal passato coloniale, fatto sta che ci tengono proprio, e stanno attenti che tutto il peso dell'aiuto ricada sulle loro spalle, al punto che come ha dichiarato lo stesso Romano Prodi in diverse conferenze, uno dei motivi principali per cui bombardarono la Libia di Gheddafi, era proprio il fatto che il dittatore libico volesse creare una moneta alternativa al franco africano, sia mai che qualcuno altro si accollasse questo peso. A pensarci bene, anche una mia vecchia collaboratrice ivoriana mi spiegava che i prodotti francesi nel loro paese hanno una specie di corsia preferenziale, ma probabilmente lei, poverella, non capisce i principi economici.

Seriamente parlando, è questa di Cottarelli, una tecnica per smontare certe tesi: concentrarsi sulle posizioni più estreme, confutare queste ultime. E lasciare chi ascolta nell'impressione di aver smontato tutta la tesi, se poi come fa lui si dedica un certo spazio ad approfondire cosa c'è di vero, il lettore resterà pienamente soddisfatto.


Adesso, io non dubito che Cottarelli sia un bravo economista, tra l'altro al contrario di personaggi come Monti (che nel libro difende), che sono rigidamente concentrati solo su una determinata scuola di pensiero, so che Cottarelli, anche se non si azzarda a uscire dalla cornice mainstream (l'Europa, certi dogmi neoliberisti, eccetera), che dà per scontata e necessaria come se fosse aria, cosa che tra l'altro, il suo libro lascia trasparire chiaramente, ha un approccio più pragmatico alle teorie economiche, ma, visto che mi faccio come punto d'onore conservarne la buona fede, è appunto come specificato all'inizio, questo voler leggere tutto dal punto di vista economico, questo eccesso di fiducia, questa primazia accordata al suo specifico settore di competenza, che lo perde. Chi occupa certi ruoli non può, non deve scordare che il mondo è complesso.

È qui entriamo nel motivo di questo scrittino, infatti Cottarelli nel suo libro, "smonta" anche la tesi che vedeva Berlusconi nel 2011, vittima di un complotto che causò la caduta del suo governo. Naturalmente presentando le cose in un certo modo, Cottarelli ha gioco facile a dimostrare che non vi fu nessun complotto. 


L'economista, approfitta del fatto che quando si parla di complotti, la gente si immagina; riunioni segrete, grandi vecchi, società misteriose e chissà quali altri enigmi. In realtà, già in due si fa fatica a mantenere un segreto, i grandi vecchi hanno problemi d'incontinenza e le società segrete somigliano troppo a quei Figli del Deserto, che chi conosce la filmografia dei mitici Stanlio e Ollio ricorderà senz'altro.

A mia opinione le persone su dinamiche di questo tipo, in genere hanno esperienze attraverso la letteratura o altro tipo di fiction, dove certe situazioni sono esasperate per creare più pathos o per richiamarsi ad un'ideale archetipo. Così quando si parla di episodi reali, li giudicano in base alla loro esperienza, e di conseguenza  li ritengono poco plausibili, e saranno proprio le persone più preparate e di conseguenza fornite di spirito critico le più scettiche.



Uscendo dall'archetipo però, i complotti nella maggioranza dei casi sono tutt'altra cosa: Un complotto è un’azione segreta e coordinata da un gruppo relativamente ristretto di soggetti per ottenere un risultato utile per sé e per altri soggetti, i quali possono agire anche in modo indipendente e inconsapevole, ma in modo funzionale all’obiettivo comune, spesso a discapito di un terzo.



Cottarelli fa ricadere la colpa della caduta del Berlusconi IV ad una serie di congiunture economiche, che minarono la fiducia di certi attori, che a loro volta pesarono su certe congiunture economiche. Insomma Cottarelli propone in economia una specie di motore che si autoalimenta, nulla di straordinario.


Ricordate la definizione di complotto data prima? 
Proviamo ad analizzare la posizione del governo Berlusconi in quei giorni:

Il personaggio con la sua vita privata movimentata e dissoluta si rendeva facilmente bersaglio degli attacchi avversari.

Naturalmente era inviso agli avversari politici, che avrebbero fatto carte false per farlo uscire di scena.

Era sgradito anche  agli alleati strategici della nato, prima fra tutti, gli Stati Uniti, per le sue amicizie con Putin e Gheddafi.

I suoi alleati storici erano scontenti dell'operato del governo, specialmente Gianfranco Fini che già da tempo si vedeva declassato del suo ruolo di "delfino", e cercava altri sponsor.

I mercati finanziari vedevano nella crisi italiana un'occasione per aumentare i propri profitti.

Un presidente della repubblica preoccupato che l'Italia non deragliasse dai binari, su cui era stata messa agli inizi degli anni '90. 

Giornali e giornalisti legati a gruppi di potere, che come e più del presidente volevano che l'Italia restasse su quei binari.

Davvero serve altro per dire che la caduta del Berlusconi IV fu un complotto? 
Davvero pensate che i mercati siano questi soggetti freddi e razionali, fatti da bravi ragionieri, come a tratti li descrive Cottarelli, ignorando per di più, gli altri attori in scena, quasi fossero solo dei burocrati interessati solamente al buon funzionamento del meccanismo.


Considerato che il rapporto deficit/pil ai tempi era del 120% e oggi siamo arrivati al 134%, non mi pare che il successivo governo tecnico abbia fatto miracoli tali da rassicurare i mercati. Eppure oggi la situazione appare molto diversa.

A mio parere questa differenza è  dovuta al fatto che sotto il governo Berlusconi, un certo Mario Draghi nel ruolo di governatore designato della BCE firmava lettere  preoccupate in cui, in assenza di decisioni drastiche, esprimeva dubbi sulla permanenza del paese dentro l'area Euro,  mentre qualche mese dopo, garantiva che la BCE avrebbe fatto tutto quello che c'era da fare per garantire la stabilità della moneta, rasserenando i mercati.


Naturalmente per fare accuse servono prove, e i tempi sono ancora immaturi per avere nelle mani qualcosa di concreto. però, come ha ammesso lo stesso Monti in un’intervista a Alan Friedman riportata nel libro Ammazziamo il gattopardo, già a giugno 2011 Napolitano lo sondò sulla disponibilità a incarichi di governo. Inoltre l'ex ministro Tremonti, in più di un'intervista (link) ha fatto notare di come Draghi in qualità di governatore della banca d'Italia, nelle  “Considerazioni finali” del 31 maggio 2011, affermava che lo stato italiano stava attuando: "una prudente gestione della spesa". Poi a pochi mesi di distanza , il 5 agosto, se ne esce fuori con la famosa lettera già menzionata cofirmata col suo predecessore alla BCE, dove si chiedevano tagli immediati e riforme strutturali per scongiurare il peggio.


Insomma più di qualche piccolo mistero e  repentini cambi di opinione, ripeto, prove certe non vi sono, ma ridurre il tutto a normali fattori economici e etichettare tutti i sospetti a "bufale" mi pare alquanto semplicistico.



mercoledì 2 aprile 2025

Arte riproducibilità e intelligenza artificiale





Sul finire della prima metà dell'Ottocento venne presentata al mondo una nuova ed eccezionale creazione dell'ingegno umano: il Dagherrotipo, l'antesignano della fotografia. Poco dopo i filosofi cominciarono a chiedersi quale sarebbe stato il valore dell'arte, ora che la tecnologia permette di riprodurre la realtà, senza l'intervento diretto dell'artista.


Fu Walter Benjamin, quasi un secolo dopo, a offrire una risposta profonda, nel suo saggio "L'opera d'arte nell'era della sua riproducibilità tecnica".  Benjamin sosteneva che il valore dell'opera d'arte non sta tanto nella sua mera realizzazione, nell'oggetto fisico, per intenderci,  ma nell'"aura" che questa possedeva: il valore dell'opera è legato alla sua unicità storica e sociale. Per Benjamin la riproducibilità di un'opera rischiava di distruggere tutto ciò.  L'attenzione del discorso artistico si era spostata dal suo valore materiale al suo significato culturale.

Le preoccupazioni del filosofo tedesco non sorsero dal nulla: benché il Movimento Romantico avesse già posto in essere il problema, fu Marcel Duchamp e la sua "Fontana"  che nel 1917, quasi a presagire  le questioni che sarebbero state poste da Benjamin, radicalizzò il concetto che l'arte dev'essere slegata dall'abilità tecnica. Duchamp non solo era disposto ad accettare la perdita dell'"aura", ma trasformava questa perdita in un nuovo principio artistico, L'oggetto non è più la prova materiale che l'artista è capace di realizzare quello che aveva in mente, ma solo un mezzo per esprimere un'idea. Da allora la perizia tecnica non è più un parametro universale per riconoscere un'opera d'arte.

Dopo di lui movimenti come la Pop Art o il Concettualismo hanno contribuito a spingere ancora più in là, questo genere di tematiche. Artisti quali Andy Warhol, hanno dimostrato come la riproducibilità non distrugge l'arte semmai la ridefinisce, eccetera.


Ai nostri giorni questo tipo di visione è ampiamente accettata da parte di critici ed esperti, anche se qualche perplessità ancora rimane.

Personalmente, tale modo di intendere l'arte non mi trova d'accordo, e tralasciando le posizioni da "accademia" anche gli esperti non sono unanimi nel giudizio, lo prova ad esempio una forma d'arte come l'architettura, dove la mano dell'architetto è veramente minima, se questa interpretazione è considerata quella giusta, perché c'è tanta ritrosia a intervenire sui monumenti lasciandoli spesso a ruderi? Avendo a disposizione studi e materiali, non sarebbe meglio portarli a nuovo  Permettendo così di esprimere appieno tutto ciò che l'architetto aveva da dire?  Certo! Così facendo c'è il rischio di distruggerne quella autenticità storica, che sta alla base dell'aura di cui abbiamo parlato, ma davvero non siamo capaci di trovare un modo per fare dialogare il nuovo con l'antico? 
O ancora, L'oggetto non è forse la prova che l'artista è capace di porre in essere ciò che voleva realizzare? Se questa prova non è piu necessaria, non possiamo definirci tutti grandi artisti? E se tanto vale, perché non spostare lo stesso principio in altri settori, dichiarandoci grandi generali senza aver mai fatto una guerra o grandi inventori senza aver mai inventato nulla?

Sebbene la riflessione che si è svolta intorno a questo argomento abbia contribuito a mettere nella giusta luce la parte intellettuale nella manifestazione artistica,  la parte manuale anche nell'era della riproducibilità non può essere spostata troppo in secondo piano, senza finire in paradossi simili a quelli che abbiamo visto prima,  perciò i tentativi intrapresi verso questa direzione per quanto intelligenti, restano delle affascinanti provocazioni.

La questione rimane ancora controversa, intanto un altro fronte sembra aprirsi: quello della letteratura. Grazie alle IA generative infatti pare ormai prossimo il tempo in cui, con le giuste istruzioni, potremmo fare scrivere alle macchine opere che riproducono in maniera pressoché perfetta lo stile e le tematiche di qualsiasi scrittore desideriamo.

A questo punto anche in questo campo artistico sorge la domanda: cos'è che definisce il valore di un'opera e del suo autore? Se grazie al mio computer posso comporre terzine belle come quelle di Dante sono anch'io un poeta o lo è forse la macchina? 

Prima di rispondere a questa domanda bisogna introdurre un'altro concetto, quello dell'intenzionalità: ovvero il principio per cui ciò che distingue un'opera d'arte da un banale oggetto artigianale è l'intenzione dell'autore. In parole povere l'intenzionalità è quel fenomeno che fa sì che se noi incidentalmente perdiamo l'equilibrio e per sostenerci facciamo pressione su una tela al punto di strapparla, abbiamo fatto un bel pasticcio, ma se lo stesso strappo lo fa Fontana con la volontà di creare un opera d'arte allora è nato un capolavoro. L'intenzionalità e l'argomento principe di chi sostiene che una macchina non può creare vera arte. In realtà la faccenda non è così semplice, esistono ad esempio manufatti, testi o videoregistrazioni, che nelle intenzioni dell'autore non avevano pretese artistiche, ma il loro valore intrinseco li ha fatti riconoscere come tali. Sarebbe meglio parlare allora di "intenzionalità implicita". L'intenzionalità implicita si ha quando la volontà dell'essere umano di creare qualcosa di ben fatto riesce a trasmettere all'oggetto un valore espressivo o simbolico che trascende la sua mera funzione.


Torniamo adesso alla nostra intelligenza artificiale e alle terzine che ha generato con la nostra collaborazione, per verificare se sono presenti le caratteristiche che abbiamo esaminato:
La perizia tecnica c'è, la offre la macchina,
L'idea creativa anche, la metto io,
L'intenzionalità,  anche quella è mia.

Dunque, appare evidente che presi singolarmente sia io che la macchina non siamo idonei per essere definiti artisti, però insieme pare proprio che abbiamo le potenzialità di esserlo, allora cosa manca? 
Semplice: manca la capacità di fondere queste cose per creare qualcosa di unico e originale, perché solo se presenti in un unicum, questi requisiti possono generare quell'insieme di sensibilità estetica, disciplina, consapevolezza e ricettività, necessari a creare un'opera d'arte, perciò la risposta è no.

E la dimostrazione di ciò, sta proprio nell'esempio: Se io ne fossi capace, non delegherei alla macchina il compito di trasformare in versi le mie intuizioni, dal canto suo la macchina Per quanto possa essere abile tecnicamente,  ha bisogno che l'idea, la scintilla creativa, provenga dal di fuori,  e per quanto le mie descrizioni di questa idea possano essere  dettagliate, e la mia intenzione è quella di creare un capolavoro, l'algoritmo per il modo stesso di come funziona, non potrà che usare questo materiale per fare uscire delle imitazioni, opere costruite secondo criteri statistici, prive della minima originalità. 


E adesso, stabilito ciò che non lo è, finalmente possiamo tentare di formulare una definizione di artista:

L'artista è colui che possedendo tutti i requisiti, riesce a rendere tangibili idee potenti con padronanza e consapevolezza creando, qualcosa di unico e innovativo.


Mi pare che le macchine sono ancora molto lontane da questo traguardo.